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Podemos, il secondo schiaffo all’euroausterità

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“Sì, se puede!” scandiscono ebbri di felicità i militanti di Podemos, di fronte alla netta affermazione elettorale alle Amministrative e alle Regionali che li mette nelle condizioni di governare fin da subito a Barcellona, per giunta presentando una candidata-simbolo come Ada Colau, da sempre in prima fila contro gli sfratti e i soprusi di un capitalismo ormai morente e, per questo, ogni giorno più feroce, e in coalizione con il PSOE a Madrid, dove con ogni probabilità il prossimo sindaco sarà il magistrato Manuela Carmena, settantuno anni, personalità capace di fungere da cerniera fra l’entusiasmo delle giovani generazioni e la solidità di chi ha tanto passato alle spalle ma ancora tanta voglia di futuro dentro di se.

E con l’esperienza maturata in questi anni possiamo dire, fin d’ora, che no, l’esperimento degli intellettuali spagnoli al seguito del giovane e carismatico leader Pablo Iglesias Turrión non si fermerà qui e che lo schiaffo preso tanto dai popolari quanto dai socialisti è salutare per entrambe le formazioni. Fa bene ai popolari del primo ministro Rajoy perché, forse, cominceranno a capire che non si può appaltare la guida del Paese alla Merkel e ai dettami della Troika e poi pretendere pure che i cittadini, sottoposti allo stress di salari da fame, pensioni tagliate e condizioni di lavoro disagiate, approvino con piacere. E fa bene ai socialisti del giovane segretario Pedro Sánchez perché forse, d’ora in poi, si renderanno conto che non basta dire di essere di sinistra per risultare credibili agli occhi di chi da un partito di sinistra vorrebbe messaggi di giustizia, solidarietà sociale, uguaglianza, riscatto, nuove opportunità per le categorie travolte dalla crisi e devastate dal progressivo scivolamento verso la povertà e non una mera correzione del programma indecente e ultra-liberista della peggior destra che si sia mai vista.

Chi di sicuro, purtroppo, non capirà nulla, rimanendo asserragliato nel suo bunker di Berlino, è il povero Wolfgang Schäuble, vestale del rigorismo più stupido che si possa concepire ma, soprattutto, feroce oppositore di qualunque forma di progresso e pronto, insieme ai tecnoburocrati annidati a Bruxelles, a condannare la Grecia all’abbandono dell’euro pur di non piegarsi alla volontà popolare dei milioni di cittadini che lo scorso gennaio hanno detto basta alle politiche di austerità e si sono affidati all’unico partito che avesse questo proposito nel suo programma.

Pur di strangolare Tsipras e il suo pittoresco ministro Varoufakis, infatti, la suddetta compagnia, da tempo imperante ai vertici dell’Unione, sembra disposta persino a spingere nella direzione del Grexit, senza rendersi conto che l’eventuale uscita della Grecia dalla moneta unica non segnerebbe la fine delle sofferenze del Vecchio Continente ma, al contrario, il ritorno in grande stile della speculazione sui mercati finanziari, con un effetto contagio che finirebbe, inevitabilmente, col travolgere innanzitutto la periferia d’Europa, ossia Italia, Spagna e Portogallo, e successivamente la Francia e la locomotiva tedesca.

Suicidarsi per non ammettere di aver fallito: un comportamento alla Sansone, tanto miope quanto inconcepibile per la classe dirigente di un Paese che è stato tra i fondatori e tra i principali protagonisti del sogno europeista, a cominciare da Adenauer e Brandt e senza dimenticare il contributo essenziale fornito da Helmut Kohl, padre della riunificazione delle due Germanie e uomo capace di creare un’unione d’intenti in una nazione che per oltre quarant’anni aveva subito divisioni e decisioni imposte dall’esterno.

Se a ciò sommiamo quanto sta avvenendo nei paesi dell’est, con la Polonia che si è affidata a sua volta a un nemico dell’Europa quale Duda, e teniamo conto dell’inadeguatezza della peggior Commissione europea che si sia mai vista, con il netto dominio di liberisti, guerrafondai e antieuropeisti di provata fede, ci accorgiamo delle ragioni per cui è assolutamente indispensabile individuare il vero nemico da sconfiggere, rappresentato non dalla pur antipatica Cancelliera ma dalla dittatura economico-finanziaria che sta infestando il mondo da oltre trent’anni.

Per questo, pur riconoscendone limiti, atteggiamenti populisti e difficoltà nel proporre un programma di governo concreto e convincente, guardiamo con discreta speranza, e quasi con entusiasmo, a ciò che sta avvenendo in Spagna, dove un gruppo di ragazzi ha avuto la forza di ribellarsi a un tiranno invisibile ma ferocissimo e di trasformare la rabbia e i sentimenti di protesta di molti in un’offerta politica concreta, discutibile ma presente nella vita quotidiana dei cittadini e, cosa ancor più importante, capace di porre al centro un nuovo patto sociale e generazionale di cui l’intera Europa avverte, più che mai, il bisogno.

Perché, per citare uno scrittore e filosofo spagnolo di tanti anni fa, è vero che per il momento le forze soverchianti del capitalismo liberista stanno vincendo ma è altrettanto vero che non stanno convincendo nessuno; al contrario, stanno generando odio, disaffezione verso la politica, disperazione collettiva, sconforto, abbandono e un sentimento corale di sconfitta che è quanto di più pericoloso possa esistere per la tenuta e la coesione del tessuto democratico di una nazione e, in questo caso, di un continente.

Podemos, invece, unendo uno spirito un po’ garibaldino ad un chiaro collegamento a sinistra e non chiudendosi a una politica di alleanze e accordi con un PSOE che, giustamente, pretendono diverso e rinnovato, sta riuscendo nell’impresa di condurre gli “indignados” della Puerta del Sol di Madrid dalla contestazione all’impegno, recuperando e valorizzando come nessun altro una generazione che la crisi ha travolto e la politica ha ignorato.

Pertanto no, non si esaurirà presto questa spinta civile e portentosa che scuote le vene della periferia mediterranea, come non si esaurirà purtroppo la malvagità fine a se stessa di una classe dirigente che non ha ancora imparato, a differenza degli americani, che si può anche essere armati di tutto punto ma non si può vincere contro un intero popolo: che si tratti dei coreani, dei vietnamiti, degli afghani, degli iracheni o di qualunque altra comunità stretta sotto assedio. Si può abbattere un singolo uomo, talvolta è persino giusto, ma non si possono soffocare i sogni di libertà di una moltitudine in lotta. Non è possibile nelle guerre combattute con le armi tradizionali e, meno che mai, in questa guerra tecnocratica che ha per nemico il concetto stesso di progresso e chiunque tenti di incarnarlo, difenderlo e portarlo al governo e nelle istituzioni.

Una cosa, tuttavia, è certa: fra Gramsci e Laclau, teorico del populismo, questi Don Chisciotte del Terzo Millennio pare che abbiano letto prevalentemente il primo, a cominciare da quel passo di “Indifferenti” che recita: “Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo? Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano”. È una lezione del 1917 ma è assai più attuale di tante fasulle rottamazioni.


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