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Palmesano: e la camorra licenziò il cronista

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Qualche anno fa, su proposta del compianto Roberto Morrione, un cronista che davvero tentava di “Illuminare le oscurità”, Articolo 21 decise di assegnare il premio dedicato a chi onora professione e legalità ad Enzo Palmesano. La decisione non piacque a tutti, perché Palmesano era ed è un giornalista “urticante”, come scrivemmo nella motivazione del premio, perché segue solo il filo del suo pensiero e si dedica alla ricerca dei  fatti, delle cose; le raccoglie, le mette in fila, riannoda il percorso della memoria, non distingue tra amici e nemici, non si lascia condizionare dalle sirene delle appartenenze politiche, amicali, di consorteria.

Palmesano è considerato un irregolare della professione e della politica. Un tempo si autodefiniva un “fascista di sinistra”, amico di Fini, redattore del Secolo d’Italia, poi direttore del Roma. Fu tra quelli che, all’interno del Msi prima e di Alleanza nazionale poi, contrastò ogni forma di antisemitismo e di discriminazione verso l’omosessualità e lo fece quando era davvero difficile andare contro lo “spirito dei tempi” e non solo a destra.

Con la stessa determinazione cominciò a raccontare le storie di camorra, a mettere il naso nei traffici dei rifiuti e nel business delle immondizie, a svelare intrecci che coinvolgevano amministratori ed esponenti della destra campana, a cominciare da quelli della famiglia Cosentino, e lo ha fatto quando il berlusconismo era nella sua stagione trionfale. Le sue inchieste suscitavano odio e disprezzo, minacce palesi e sussurrate, sino al licenziamento dal giornale dove lavorava quel Corriere di Caserta che, come ha ricordato Roberto Saviano, non ha esitato a condurre una campagna miserrima contro Don Peppe Diana e tanti protagonisti della lotta anti camorra.

Palmesano ha puntato il dito contro questo sistema, continuando ad animare un blog, a lanciare ogni giorno le sue riflessioni, ovunque gli fosse ancora possibile farlo, denunciando come anche il suo licenziamento fosse stato il frutto di una pressione dei clan. Per molti era un “fissato, un rompiballe, un caca..”, adesso dovranno tacere e vergognarsi, perché un tribunale ha riconosciuto come il suo licenziamento sia stato sollecitato ed ottenuto dal boss Vincenzo Lubrano.

Al di là della vicenda giudiziaria e dei suoi sviluppi futuri, restano quelle intercettazioni di boss, camorristi, giornalisti che si scambiano cortesie e piaceri e, come in un coro, chiamano Palmesano il ” Rompi c…, il caca c..”. Quel linguaggio comune, quelle parole condivise sono il concime dell’omertà e della illegalità.

Le stesse identiche parole venivano usate contro gli Impastato, i Siani, i Fava, tutti accusati di essere “Rompi…”, perché chi decide di contrastare mafie e camorre non contratta pranzi, battesimi, vacanze e soldi per il suo giornale, ma le contrasta con la determinazione degli Enzo Palmesano. Ora il modo più coerente di stare dalla sua parte sarà quello di illuminare le sue inchieste, magari di trasmetterle sulle grandi reti, di consentire a Enzo Palmesano di fare il suo mestiere.

In questi casi la “scorta mediatica” può essere persino più utile della scorta armata. Forse sarebbe il caso che gli stessi organismi della professione giornalistica promuovessero una riflessione ed una distinzione tra chi “paga” per indagare e scrivere su mafia e malaffare e chi “paga” un disperato 20 euro per fargli recitare il ruolo del rom brutto, sporco e, ovviamente, cattivo.

Fonte: “Il Fatto Quotidiano”


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