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Nel limbo dei profughi al confine del Brennero. In fuga dalla “trilaterale”

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La polizia stima che passino tra i 5-6 mila all’anno, ma i numero sono imprecisi. Sulla rotta i migranti sono intercettati dalle scorte trilaterali, gruppi formati da polizie di Italia, Austria e Germania. Alla fine, però, tutti riescono a coronare il sogno di entrare nel Nord Europa
BRENNERO/BOLZANO – “This is my story, my story, this is my life”. La voce di Jonathan, 32 anni, dal Camerun, arpeggia su una base improvvisata: il fischio dei treni in arrivo alla stazione del Brennero. Tutt’intorno ci sono solo prati e boschi appesi alle montagne. Ci saranno in tutto una decina di profughi seduti in piccoli gruppi nella stazione e pochissimi locali che passeggiano sul marciapiede all’esterno. Qualche migrante si avventura fino al bar, ma in pochi hanno i soldi per prendersi qualcosa da mangiare. Jonathan, nella sala d’attesa interna, ammazza il tempo facendo ciò che ama di più: cantare. Spera di poter salire sul prossimo treno per Innsbruck.
In cella per questioni musicali. Rapper in patria, Jonathan racconta di essere stato in carcere tre mesi a causa dei contenuti delle sue canzoni. Studente, conosce bene sia l’inglese che il francese, sua lingua madre. “Appena uscito dal carcere, ho lasciato il Camerun”, spiega. Era il 2013. Le parole della canzone che sta cantando le ha appuntate su un quaderno Invicta, dove conserva ogni ricordo della sua Odissea. Le persecuzioni nel suo Paese, l’arrivo in Niger nel giugno di due anni fa, la paura di morire che gli è stata fedele compagna fino ad oggi. Insieme a lui c’è Ferede, etiope, 20 anni. Ha gli occhi affaticati da un viaggio di sette anni, direzione Germania. Che per l’ennesima volta ha subito uno stop alla frontiera.

In attesa alle porte dell’Europa. Il confine con l’Austria è a qualche centinaio di metri, eppure pare così irraggiungibile. Giusto qualche ore prima i due compagni di viaggio si trovavano a Innsbruck, ultima tappa prima di sconfinare in Germania. Sono scesi dal treno e si sono nascosti nel bagno della stazione, nell’attesa della coincidenza per Monaco. La polizia austriaca li ha trovati e li ha rispediti al mittente italiano. In mano non hanno nulla: né denaro, né documenti, né fogli di via, ne biglietti del treno. Così ora sono nel Limbo, in attesa che s’aprano di nuovo le porte dell’Europa. Pensano alla Germania perché dei “fratelli” (intendono connazionali, in realtà) hanno loro detto “che lì l’accoglienza è mille volte meglio che in Italia”.
Ferede ha iniziato a inseguire questo sogno quando per caso ha incontrato su Facebook un connazionale che sta a Monaco, arrivato ormai mesi fa. “Non mi ha dato nessuno aiuto, in realtà – spiega – né ha mai chiesto soldi. Ha solo detto che a Monaco sta bene”. Spaesati e affaticati, i due profughi attendono che la sorte offra loro un’opportunità di partire, che sia di nuovo in treno, a piedi oppure su un camion: poco importa. “Non abbiamo soldi per poter pagare un passeur”, dicono. Altrimenti certamente ci avrebbero provato.

Passare il confine? Solo una questione di tempo. “Il 100% di chi prova a passare il confine alla fine ci riesce”. Mario Deriu, segretario regionale del sindacato di polizia Siulp di Bolzano, non ha il minimo dubbio. Difficilmente il piano va a buon fine al primo tentativo, ma è solo questione di tempo. Le forze dell’ordine hanno solo una stima che Deriu definisce “irreale” sui passaggi da Bolzano: 5-6 mila ogni anno. “La politica internazionale ha scaricato tutto il peso di questo problema sulle spalle della polizia italiana. Invece sarebbe il momento di dare il massimo per pensare al dopo: altrimenti si rischia davvero una crisi sociale e umanitaria”, aggiunge.
Per Deriu la chiave di volta che dovrebbe sorreggere l’intero sistema d’accoglienza è una nuova convenzione Dublino, che superi l’attuale obbligo per i migranti a restare nel primo Paese d’approdo. Più che una suddivisione in quote, per Deriu servirebbe concedere la possibilità di viaggiare liberamente, seppur dopo essere stati registrati e riconosciuti.

La trilaterale a caccia di immigrati. Simbolo dell’inefficienza e dell’inefficacia del sistema attuale è la cosiddetta trilaterale, la squadra composta da poliziotti italiani, tedeschi e austriaci che salgono sui treni internazionali a caccia di immigrati. Deriu usa la metafora di una diga che ha rotto l’invaso: “Tre uomini non possono fermarla, sarebbe un suicidio”, dice Deriu. Il sindacalista si chiede come tre poliziotti possono fermare l’esodo “biblico” (di nuovo una sua espressione) che passa dal Brennero. Le trilaterali sono entrate in vigore inizialmente nel 2001, ad Unione europea appena nate, come prova delle comunità d’intenti dei tre Paesi Schengen. Lo scopo iniziale era dissuadere i borseggiatori di ogni nazionalità. Ora lo strumento serve a pattugliare le frontiere in cerca di immigrati irregolari: “La polizia tedesca nelle trilaterali impone attività operative a quella italiana in virtù del Dublino III”, prosegue il sindacalista delle forze dell’ordine. Un esempio è proprio l’identificazione forzata e l’inserimento dei dati nel sistema Eurodac, la banca dati di tutti i migranti irregolari d’Europa. Nulla in contrario alla registrazione di chi transita, dice Deriu: serve sapere chi transita oltre i confini. Ma se nessuno cambierà una virgola dell’accordo di Dublino, ognuno di loro sarà destinato a tornare nei nostri confini, come “caso Dublino”. E il sistema collasserebbe senza più valvole di sfogo. (lb)

Da redattoresociale.it

 


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