Nel gennaio 2014, il settimanale “Unità” pubblica uno scoop. Nella regione di Magwe, al centro di Myanmar, c’è un impianto per la produzione di armi chimiche, la cui costruzione è iniziata nel 2009 dopo la requisizione dei terreni ai contadini legittimi proprietari. Il governo smentisce rapidamente la notizia e sequestra subito tutte le copie del settimanale. In seguito, la redazione verrà chiusa.
Pochi giorni dopo, il direttore Tint San e i quattro giovani giornalisti che hanno curato l’inchiesta – Lu Maw Naing, Yarzar Oo, Paing Thet Kyaw e Sithu Soe – vengono arrestati con le accuse di aver rivelato segreti di stato (sulla base di una legge del 1923, risalente al periodo della colonizzazione britannica), essere entrati in un’area riservata e avervi scattato fotografie.
Il processo termina con una condanna a 10 anni di carcere e lavori forzati. In appello, la pena viene ridotta a sette anni. Nel 2013 il presidente Thein Sein si è impegnato a rilasciare tutti i prigionieri di coscienza. Non solo questo non è successo, ma dietro le sbarre ne sono finiti ancora altri, come i “cinque dell’Unità”, che stanno scontando la condanna nel centro di detenzione di Pakkoku.
In occasione della Giornata internazionale per la libertà di stampa, Amnesty International ha lanciato una campagna mondiale per chiedere la loro scarcerazione. Si può aderire al link:
www.amnesty.it/myanmar-giornalisti-unity