di Claudio Visani*
L’Ordine dei giornalisti anche in quest’ultima consiliatura non è cambiato: è sempre più un ente autoreferenziale, distante dai problemi concreti e quotidiani della categoria, sostanzialmente inutile. Dopo che la legge Severino gli ha tolto il controllo sul rispetto della deontologia, affidata ora ai Consigli di disciplina, all’Ordine è rimasto quasi esclusivamente la competenza sulla formazione con la gestione dell’aggiornamento professionale obbligatorio dei giornalisti. Intanto la riforma “vera” della legge istitutiva del lontano 1963 che ormai da decenni a parole tutti invocano ma chi governa l’Ordine in realtà non mostra di volere davvero, è sempre di là da venire. Però quando manca ancora quasi un anno alle elezioni per il rinnovo dei consigli e delle cariche nazionali e regionali – a cui da anni partecipa una percentuale ridicola di colleghi, inferiore al 10% degli aventi diritto, a dimostrazione della lontananza e del disinteresse dei giornalisti – già si è cominciato a preparare il terreno affinché anche nella prossima consiliatura nulla cambi.
Approvata una deroga di due anni per gli iscritti senza titolo all’Albo
Il Consiglio nazionale ha infatti approvato a maggioranza con 55 voti a favore, 35 contrati (il gruppo di Liberiamo l’Informazione e altri consiglieri nazionali) e 7 astenuti, un ordine del giorno sulla revisione degli iscritti all’Albo professionale che consente a chi non può “temporaneamente dimostrare di possedere i requisiti previsti” di chiedere “il differimento della revisione ad una data successiva comunque non superiore a due anni”. La revisione e la “pulizia” dell’Albo, che ha ormai raggiunto il record mondiale di 120mila iscritti tra pubblicisti (la stragrande maggioranza) e professionisti, quindi non ci sarà.
Una delibera che sembra fatta apposta per consentire ai circa 50mila pubblicisti che non esercitano affatto la professione giornalistica, e spesso nemmeno l’attività pubblicistica, tutti quanti sconosciuti all’Inpgi (l’istituto di previdenza dei giornalisti), di rimanere comunque iscritti all’Albo, quindi di poter partecipare alle elezioni del prossimo anno e, probabilmente, con l’organizzazione ormai collaudata delle loro “truppe cammellate”, di essere decisivi nella scelta dei nuovi consiglieri e dei nuovi vertici ordinistici. In altre parole, di consentire che il governo dell’Ordine professionale dei giornalisti continui – incredibilmente – ad essere governato da una ristretta oligarchia alleata e sostenuta dai pubblicisti, una buona parte dei quali iscritti ad altri Ordini e che di professione non fanno i giornalisti. Un caso più unico che raro al mondo. Con “metodo tafazzi” per la categoria, si potrebbe dire. Come se l’ordine dei medici fosse governato dagli infermieri, o dai geometri.
Il via libera alla moratoria con la scusa della crisi
La decisione è stata motivata dal Consiglio nazionale dell’Ordine dal “grave momento di crisi dell’editoria che sta creando parecchie difficoltà agli iscritti (professionisti e pubblicisti) all’Ordine dei Giornalisti sottoposti a revisione dai Consigli regionali ai sensi dell’art. 41 della legge 69/1963”, che porterebbe a “numerosissime cancellazioni” e a diffuse “situazioni di morosità”. Per questo il Consiglio nazionale ha deciso di “integrare il documento di indirizzo sulle revisioni approvato l’8 luglio 2014, stabilendo, per l’appunto, che: gli iscritti sottoposti a revisione e che non possono temporaneamente dimostrare di possedere i requisiti previsti nel suddetto documento di indirizzo, possono chiedere il differimento della revisione ad una data successiva comunque non superiore a due anni; tale facoltà viene riconosciuta anche a tutti i giornalisti che hanno presentato ricorso e per i quali l’impugnativa non sia ancora definita”.
Le critiche della Fnsi e di 6 Associazioni stampa
Una decisione duramente criticata dai vertici della Federazione della stampa e da sei associazioni regionali di stampa (Veneto, Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige, Basilicata, Liguria e Puglia), che hanno sottoscritto un documento nel quale è scritto, tra l’altro: “Stupisce che di fronte alle preoccupazioni per le pensioni future, l’Ordine continui a ingrossare l’elenco dei pubblicisti con colleghi che non hanno mai aperto e non apriranno mai una posizione previdenziale”. I timori per la tenuta della previdenziale, continuano le 6 Associazioni, “mal si conciliano anche con la decisione di attenuare la revisione degli elenchi – prevista per legge – a causa della perdurante crisi economica, come se la crisi di settore possa essere il lasciapassare per chi non vive di giornalismo per continuare da una parte a falsare un mercato del lavoro (che soffre per il sovradimensionamento voluto proprio dall’Ordine) e dall’altra per continuare ad essere evasori Inpgi. Ci auguriamo che gli Ordini regionali, molto più vicini alla categoria di quanto sia quello nazionale, proseguano semplicemente ad applicare la legge e fare corrette revisioni”.
Rinviato l’esame di un documento critico di tre consiglieri
Sul tema, un documento critico firmato da tre consiglieri nazionali (Luisella Seveso, Oreste Pivetta, Achille Scalabrin) non è stato letto dal presidente, Enzo Iacopino, e non è stato quindi discusso dal Consiglio nazionale. Il documento sottolineava l’urgenza della riforma dell’Ordine e la necessità, nel frattempo, del rispetto della legge istitutiva, a cominciare dalla revisione degli albi, richiamando poi l’Ordine ad una rinnovata attenzione alla formazione, alle modalità di accesso alla professione e alla salvaguardia dell’istituto previdenziale. E si concludeva con la proposta della convocazione degli stati generali della categoria.