Lo scontro tra giudici e politici

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Esiste ormai una sorta di complicata  fenomenologia sui rapporti tra i governi e i magistrati, o meglio ancora tra i giudici e i politici, che, negli ultimi vent’anni, dal 1997 che fu l’anno in cui venne istituito il Consiglio Superiore della magistratura caratterizzano la nostra cronaca politica con un interesse di cui non è stata misurata la percentuale(ma prima o poi lo si farà sicuramente) dei lettori e di quelli che sono per cultura e mentalità lontani da problemi come questi.  La tendenza è stata quella di un crescente interesse dei politici per ragioni personali o di gruppo da quel che facevano i giudici e questo ha riguardato in un primo tempo soprattutto i politici della destra ma ormai, nell’ultimo decennio, più di un parlamentare del centro-sinistra è stato interessato a seguire con particolare attenzione le mosse dei magistrati e l’ultimo è stato quello del deputato siciliano Francantonio Genovese tuttora  coinvolto in una serie tutt’altro che limpide e piacevoli da seguire.

Insomma oggi la politica italiana deve tener conto di quel che dicono e fanno i magistrati, visto che il numero dei politici e parlamentari coinvolti in qualche vicenda giudiziaria non è più frutto di una rara eccezione ma risponde a una misura statistica tutt’altro che irrilevante.  E’ una considerazione per molti aspetti amara perché, a loro volta, i magistrati dicono, come è accaduto negli ultimi giorni al presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Rodolfo Maria Sabelli, si sentono aggrediti dall’atteggiamento dei politici nei loro confronti. Così il commento del presidente Sabelli nei confronti delle riforme in discussione oggi in parlamento è chiaro e tale da suscitare inevitabili reazioni della politica.

Le riforme-ha appena dichiarato Sabelli- sono “timide e incoerenti: sono scelte di compromesso nascoste dietro interventi deboli che troppo spesso hanno caratterizzato le decisioni adottate dalla politica” e il presidente aggiunge subito dopo: “L’associazione non può esimersi dall’intervenire e dall’elaborare proposte che suggeriscano soluzioni ragionevoli”. Sabelli si è riferito essenzialmente a quel che è successo a Milano con il “caso Giardiello” e ha detto: “Se la giurisdizione deve dare risposte efficaci alla domanda di giustizia deve essere messa in condizione di svolgere questo ruolo. Servono mezzi, buone leggi organizzazione.” E una domanda precisa sul caso Giardiello ha risposto: “Vorrei sottrarmi al rischio di polemiche sul rapporto tra la delegittimazione e questo fatto.

Per la semplice ragione che qui ci sono tre persone uccise che ricoprivano ruoli diversi. Vedo il simbolo di un’aggressione complessiva alla giustizia. Il tema del rispetto e del discredito della magistratura è un tema ma non va svilito con una lettura semplicistica. C’è anche quello del recupero di fiducia, del valore della legalità, dell’efficacia del sistema giustizia. C’è una solitudine per funzioni che, nella diversità dei ruoli, troppo spesso sono disconosciute.” E’, mi pare, un atto di accusa piuttosto chiaro verso una lontananza che i politici, in generale, ma forse anche le Camere mantengono nei confronti di chi amministra la giustizia, quando non c’è addirittura diffidenza verso chi domani potrebbe dover giudicare le azioni di un parlamentare o di un politico tout court. Ma c’è infine da chiedersi come si è arrivati a questo punto e di chi siano soprattutto le responsabilità.


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