In attesa di conoscere quale sarà (se ci sarà) la risoluzione Onu, sollecitata dall’UE e dall’Italia nei giorni scorsi, per fronteggiare adeguatamente i flussi migratori in partenza dalle coste libiche, ma, soprattutto, per autorizzare un intervento europeo (a guida italiana?) nelle acque territoriali libiche per distruggere i barconi e contrastare i trafficanti di migranti, proviamo a riordinare le idee sulla tanto sbandierata operazione Tritone. Iniziata il primo novembre 2014, sotto l’egida Frontex (agenzia europea deputata al controllo delle frontiere), la prima fase di Tritone, che ha assorbito anche le aree delle altre operazioni in corso nel Mediterraneo Centrale e nello Ionio (Hermes ed Aeneas), si è conclusa il 31 gennaio 2015, momento in cui è subentrata l’attuale fase che dovrebbe concludersi il 31 dicembre. L’area marina di intervento, sino ai primi di maggio scorso, si proiettava per 30 miglia, fin sotto le isole di Lampedusa, Malta e, sul versante ionico, interessava il mare di Calabria, Puglia e Sardegna (queste tre ultime aree sono state “sospese” e saranno riattivate nella eventualità di consistenti arrivi di migranti). In relazione alle determinazioni assunte dal Consiglio Europeo (seduta straordinaria del 23 aprile scorso) e alla conseguente riunione del 7 maggio tenutasi a Varsavia, presso Frontex, per aggiornare l’Operational Plan, è stato stabilito che Tritone si svolga con le seguenti modalità: ampliamento dell’area operativa sino al limite sud delle acque maltesi e senza limitazione di linee di demarcazione tra pattugliamento marittimo ed aereo; aumento a cinque unità delle imbarcazioni navali di altura (OPV, Offshore Patrol Vessel) rispetto alle due previste in passato; incremento di personale esperto anche a bordo delle imbarcazioni (screening team) per una prima identificazione dei migranti; sequestro e rimorchio delle imbarcazioni pilotate dagli “scafisti”; assegnazione di un porto di sbarco all’interno dell’area operativa Tritone tenendo presente che i migranti intercettati vengono condotti in Italia (salvo che l’intervento avvenga nelle acque maltesi o in zona contigua). E’ stato ribadito il rispetto del principio di “non respingimento” e delle normative internazionali in tema di salvaguardia di vite umane in mare. In attesa che si definisca l’Operational Plan, si può dire che, alla data del 13 maggio Tritone vede in mare tre OPV (Offshore Patrol Vessel, cioè imbarcazioni per pattugliamento di altura) sei CPV (Coastal Patrol Vessel, imbarcazioni per pattugliamento costiero), cinque CPB (Coastal Patrol Boat, imbarcazioni di ridotte dimensioni per pattugliamento costiero), tre aerei e due elicotteri. Oltre al nostro paese (assetti forniti dalla Guardia di Finanza, Capitaneria di Porto e Carabinieri), i mezzi sono forniti, attualmente, da Malta, Islanda, Francia, Finlandia e Gran Bretagna.
La responsabilità della gestione tecnico-operativa di tutti mezzi e dei teams dei vari paesi che prendono parte a Tritone è affidata al Centro di Coordinamento Internazionale (ICC) attivato a Pratica di Mare (Roma), presso il Comando aeronavale della Guardia di Finanza, corpo che, nei decenni, ha acquisito una straordinaria e riconosciuta professionalità nella lotta al contrabbando e al traffico di stupefacenti via mare. Scomparsa Mare Nostrum (primo novembre 2014), operazione, come noto, condotta dalla nostra Marina Militare con cinque navi, è subentrato un “Dispositivo di sorveglianza e sicurezza” che ha rappresentato una sorta di graduale sostituzione di Mare Nostrum per garantire la necessaria presenza nello stretto di Sicilia. Da oltre un mese è iniziata anche l’operazione “Mare Sicuro”, svolta sempre da navi della nostra Marina Militare che pattugliano il mare a ridosso delle acque territoriali libiche, dati i pericoli collegati alla presenza di terroristi dell’Isis in Libia. Con “Mare Sicuro” partecipa, da alcuni giorni, anche la portaelicotteri inglese Bulwark per il soccorso in mare e la CPV Protector con il compito di trasporto migranti. Come si vede un dispositivo “cresciuto” in maniera apprezzabile (con fondi europei triplicati, dopo i tragici naufragi di quest’anno) che vede il coinvolgimento anche di esperti per le interviste ai migranti di ben 24 paesi e, quindi, la costituzione, attivata pochi giorni fa, di otto “joint debriefing team” a Bari, Crotone, Pozzallo, Siracusa e Lampedusa. Prioritario, però, rimane, salvare vite umane e portare la pace e migliori condizioni di vita in tutti quei paesi africani da cui la gente fugge per sopravvivere. Le “incursioni”armate in Libia sarebbero estremamente pericolose e non farebbero altro che spostare i trafficanti in aree di paesi confinanti e aumentare i profitti per queste bande di criminali.