“Qui si facevano armi e munizioni, oggi accogliamo poveri e migranti e li aiutiamo a ritrovare la dignità di tornare ad essere utili agli altri con un lavoro”. Con queste parole ci accoglie un volontario dell’Arsenale della Pace di Torino, in una delle tante tappe della visita guidata ai quartieri dei “santi sociali” (Don Bosco ed altri) che facciamo, grazie ad un amico del posto.
“La bontà è disarmante” si legge su un muro in fondo al grande atrio, dove sono state scritte tutte le nazioni dove l’Arsenale ha mandato aiuti e medicinali. Oltre ai paesi del Terzo Mondo, vedo USA, Austria e persino Norvegia. “Sì – risponde alla mia domanda la nostra guida – ci sono sacche di povertà in paesi ricchi che vengono raggiunte solo dal volontariato”. Mentre ci spostiamo nell’enorme spazio tutto restaurato con grande accuratezza, chiedo dove abbiano trovato le risorse per aggiustare tutto.
“Dalle persone comuni, un pensionato che era ingegnere ha fatto il progetto, altri i manovali, parecchi studenti hanno imbiancato chilometri di pareti. E tanti torinesi – molti ex operai metalmeccanici – ci hanno dato un po’ dei loro risparmi. Ancora oggi, il 93% dei fondi di sostentamento,viene da piccole donazioni”.
“In questa mensa mangiano gli uomini e là c’è la lavanderia, poi arrivano i volontari e puliscono tutto come lo vedete ora”. Chiedo perché c’è questo impegno verso l’igiene. “Perché essere ordinati è un gesto di relazione, la pulizia rompe l’isolamento e accelera il recupero dell’autostima. Certo, poi ci vuole dell’altro, ma una persona che si riconverte alla pulizia, già ha fatto un passo importante di reinserimento”.
Andiamo negli ambulatori. Il volontario mi dice sorridendo “qui ripariamo i poveri”. Vedo due stanze con l’etichetta sulla porta Dentista 1 e Destista 2. Dentro ognuna c’è una modernissima poltrona per la cura dei denti. “Vengono anche italiani che non hanno i soldi per curarsi i denti” e i dentisti sono medici volontari che donano qualche ora a noi.
Usciamo e passiamo davanti ad un austero capannone. E’ la chiesa della Madonna dei giovani. “Venite, vi faccio vedere l’icona dell’ottocento della Vergine con tre mani, perché per dedicarsi ai giovani serve una mano in più”. Nel salutarci, ci dà un opuscolo con l’Appello alla Coscienza di Ernesto Olivero, l’artefice di questa oasi di umanità, che chiede ad ognuno di fare qualcosa.
In modo molto concreto, serio, torinese.
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