Si sono sbagliate, non volevano dire Pas ma Alienazione parentale e chi le ha criticate, non ha capito cosa volevano dire. Questa la riposta di Michelle Hunziker e Giulia Bongiorno alle critiche sollevate in questi giorni riguardo la proposta di legge che hanno presentato per punire con il carcere chi si macchia di un reato connesso alla Pas, anzi no, all’Alienazione parentale.
La bagarre è scoppiata in seguito alle affermazioni di Hunziker che, invitata da Fabio Fazio in prima serata a “Che tempo fa” domenica 10 maggio, ha parlato della proposta di legge dal titolo “Disposizioni penali in tema di abuso delle relazioni familiari o di affido”, pronunciando chiaramente la parola Pas (Sindrome di alienazione parentale), una malattia dichiarata inesistente dal Ministero della Sanità, assente dal DSM (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) e dall’ICD-10 (Classificazione internazionale delle malattie e dei problemi correlati), rifiutata dalla Federazione nazionale degli Ordini dei medici, la Società italiana di pediatria, l’Ordine degli psicologi della Regione Lazio, la Rete nazionale dei centri antiviolenza (DiRe), e dichiarata pericolosa dal National District Attorneys Association (Istituto di ricerca dei procuratori americani) e dall’Associazione Spagnola di Neuropsichiatri.
Un’intervista, quella di Hunziker, che dopo un articolo apparso su questo blog ha sollevato una massiccia protesta di professionisti, avvocati, psicologi, psichiatri, e soprattutto di tutte quelle madri che denunciando un partner violento si sono viste sottrarre i figli portati in casa famiglia proprio in nome della Pas. Protesta che si è rincorsa e arroventata nei social e che ha culminato con una lettera aperta della Rete delle avvocate dei centri antiviolenza che, ribadendo l’inconsistenza della Pas e chiedendo immediata rettifica a Fabio Fazio e ai vertici Rai, ha chiarito come non solo “Nel nostro ordinamento vi sono già strumenti in sede civile e in sede penale idonei a garantire l’esercizio della responsabilità genitoriale (…), nonché norme civili e penali adeguate a sanzionare comportamenti pregiudizievoli dell’interesse dei figli”, ma che “Fattispecie penali come quella oggetto della proposta di legge avanzata da Giulia Bongiorno e Michelle Hunziker, sono funzionali solo a veicolare nelle aule giudiziarie strategie punitive nei confronti delle donne che tentano di proteggere sé stesse e i figli dalla violenza maschile”.
Casi che sembrano ignorati dall’avvocata Bongiorno e dalla sua socia Hunziker, che insieme gestiscono un’associazione che si prefigge di proteggere queste donne che subiscono violenza: “Doppia Difesa”.
La reazione è stata tale che stavolta è scesa in campo l’avvocata Bongiorno in persona e specificando che anche se Hunziker ha parlato chiaramente di Pas, in realtà loro intendevano un’altra cosa: l’Alienazione parentale. In un’intervista a “L’Espresso”l’avvocata si è dichiarata infatti sorpresa dal fatto che si fosse parlato di Pas. “Ma io non voglio affatto normare la Pas – ha precisato – io voglio normare un abuso”. La Pas, per Bongiorno, “E’ stata citata mentre spiegavamo in generale l’argomento, come una delle varie conseguenze psicologiche sui minori che alcuni sostengono esista”, “una parola che, peraltro, nel testo nemmeno compare”. E per chiarire la loro distanza dalla Pas è apparso anche un comunicato in cui si dichiara che non solo la loro associazione “Doppia Difesa”, “ha l’obiettivo di combattere la violenza sulle donne e i minori” ma che con questa proposta di legge loro chiedono solo “che sia introdotta una legge sull’Alienazione parentale”.
“Abbiamo letto una serie di critiche a questa ipotesi – scrivono nel testo – e in particolare, ci ha colpito il dibattito, del tutto fuorviante, che si è aperto sulla Pas”, in quanto “Questa proposta non ha alcuna pretesa di normativizzare la Pas intesa come malattia”, specificando anche che molte di queste polemiche hanno banalizzato “un problema reale, che riguarda molte dinamiche familiari, facendo leva su argomentazioni demagogiche”. Quasi come se la violenza sulle donne e i minori che l’accompagnano, ampiamente citate nelle critiche di esperti e soprattutto dalla Rete delle avvocate dei centri antiviolenza, non possano essere considerate testimonianza di un triste spaccato dell’Italia.
Eppure Michelle Hunziker non ha avuto dubbi nel pronunciare la parola Pas e lo ha fatto più volte parlando della proposta di Bongiorno, ovviamente prima che qualcuno le facesse notare che la Pas non esiste. In un’intervista rilasciata a “Chi”, Michelle Hunziker aveva dichiarato che avrebbe presentato, insieme a Giulia Bongiorno, un disegno di legge per “tutelare i minori vittime della sindrome dell’alienazione genitoriale”, mentre sul suo profilo pubblico su Facebook aveva scritto testualmente: “Giulia Bongiorno ed io con DOPPIA DIFESA, abbiamo presentato una proposta di legge che tutela i bambini dalla Pas, sindrome da alienazione parentale”. Ma è proprio in tv e davanti a milioni di telespettatori che Hunziker non ha avuto dubbi nell’affermare che “Quando i genitori si separano – aveva detto a Che tempo fa – il figlio spesso diventa un’arma di ricatto” e che “Non solo il figlio soffre tantissimo perché non riesce più magari a vedere il papà, o addirittura viene talmente alienato, che gli viene unasindrome che si chiama Pas, che è una sindrome a tutti gli effetti che è una sorta di abuso, di violenza”.
Nello spiegare la legge quindi una delle promotrici parla più volte e insistentemente di Pas, ovvero di quella sindrome non scientifica e mai provata che ancora gira nei tribunali italiani, soprattutto per provare le false accuse di madri o minori maltrattati. E non a caso, da Fazio, Hunziker parla proprio di padri alienati e del figlio che “non riesce più magari a vedere il papà”, e non la mamma. Perché Hunziker, nella sua semplicità, dice il vero confermando quanto sollevato dalle critiche e spiegato dalle avvocate dei centri.
Ma allora ci chiediamo: è sufficiente cambiare il nome e passare da Pas ad Alienazione parentale per dare una risposta alle critiche?
Lo psichiatra Andrea Mazzeo, che da anni si occupa di difendere i bambini dalla Pas, spiega che tra Pas e Alienazione parentale la differenza è inesistente, perché le due espressioni indicano il medesimo concetto e che cambiare nome alla stessa sostanza è solo un escamotage per sfuggire ai numerosi rigetti: un tentativo già messo in atto negli USA dai sostenitori della Pas e criticato dalla comunità scientifica statunitense. “Non a caso – dice Mazzeo – in un recente articolo su una rivista di psicologia (Psicologia contemporanea, ndr), vengono proposti per la cosiddetta Alienazione parentale i medesimi otto criteri che Richard Gardner, il fondatore della Pas, aveva proposto come sintomi della Sindrome di Alienazione parentale, un dato che dimostra in maniera inequivocabile che si parli della stessa cosa”.
In realtà il concetto di Alienazione parentale è stato prima considerato una grave malattia dei bambini (Pas) e poi, dopo i respingimenti culminati con la dichiarazione del Ministero della salute che nel 2012 la dichiarò una non-malattia, trasformato dai suoi sostenitori da disturbo individuale a disturbo relazionale, ovvero da sindrome a condizione che, sempre secondo Mazzeo, presenta evidenti analogie con il vecchio concetto di plagio, e questo malgrado il plagio sia stato cancellato dall’ordinamento giudiziario italiano nel 1981 da una storica sentenza della Corte Costituzionale in quanto considerata “ipotesi non verificabile nella sua effettuazione e nel suo risultato, né è dimostrabile” – come appunto anche per l’Alienazione parentale. “Ma la cosa secondo me determinate – conclude lo psichiatra – è che non molto tempo fa il Tribunale di Milano ha rigettato la richiesta di una Ctu contenente la Pas in quanto inammissibile (Trib. Milano, sez. IX civ., decreto 13 ottobre 2014, ndr ), così come aveva fatto la sentenza di Cassazione per il caso di Cittadella. Ed è stato più o meno da quel momento che, pur mantenendo tutti i parametri della Pas, i suoi sostenitori l’hanno trasformata in Alienazione parentale. Nominare la Pas è diventato scomodo e così psicologi e psichiatri a volte neanche la nominano nelle Ctu (Consulenza tecnica d’ufficio, ndr) perché l’essenziale è comunque applicarla per allontanare i figli soprattutto dalle madri”.
Madri chiamate “malevoli” che mettendo in cattiva luce il padre attraverso false accuse di violenza domestica o abusi, hanno scientemente allontanato il figlio dal genitore che in questo modo viene alienato: Ctu in cui non si nomina la Pas ma la si applica semplicemente. Un’applicazione massiccia, quella della Pas alias Alienazione parentale, che ha causato e continua a causare allontanamenti dei bambini, prelievi forzosi, collocamenti in case famiglia, affidamenti congiunti in presenza di violenza domestica, senza che nessuno si renda davvero conto che, come hanno ricordato anche le avvocate dei centri antiviolenza, quando il motivo della separazione coniugale è la violenza in famiglia o addirittura gli abusi sessuali sui figli, i bambini hanno il pieno diritto di rifiutare il genitore violento o abusante.
Per la psicologa Elvira Reale, che dirige il Centro Clinico sul maltrattamento delle donne presso la U.O. di Psicologia Clinica (ASL Na 1) e ha fondato lo sportello antiviolenza del pronto soccorso dell’Ospedale San Paolo di Napoli, “Non c’è differenza tra Pas e Alienazione parentale se non nel nome e nel fatto, risibile, che non si dà più valore a una sindrome di cui soffrirebbe il bambino ma a una relazione di coppia conflittuale che crea disagio nel bambino”. Reale spiega che, a parte queste differenze, il risultato è lo stesso, in quanto si parte in entrambi i casi dal rifiuto del bambino e lo si definisce immotivato sulla base di un pregiudizio: ovvero che un bambino che rifiuta un genitore è un’anomalia. In questo modo, partendo dal rifiuto, le accuse di maltrattamento del bambino verso un genitore, che è frequentemente il padre, vengono considerate come frutto di un processo di alienazione messo in atto dall’altro genitore, di solito la madre, sia che venga chiamata Pas sia che venga chiamata Alienazione parentale sia che non venga nominata affatto.
“L’esito di tutto ciò – conferma la psicologa – è che il bambino diventa inattendibile, per cui le sue parole sono inaffidabili, e data la presunzione di essere stato indottrinato e manipolato, non viene neanche ascoltato e si agisce per suo conto considerando a priori la necessità che sia subito riportato nel rapporto con l’altro genitore che è generalmente un padre accusato di maltrattamenti e violenze, e che ha anche le risorse per agire un’azione giudiziaria pressante. E questo viene fatto in contrasto con tutte le convenzioni e le leggi che tutelano e promuovono il diritto del bambino all’ascolto e a esprimere il suo punto di vista nel processo per l’affido”.
Grazie alla “scuola” fatta dalla Pas in questi anni tra psicologi e psichiatri, la maggioranza delle Ctu in tribunale, che sfornano diagnosi su cui i giudici basano la loro decisione di affido dei bambini, hanno quindi questa impostazione sia che nominino la Pas in via esplicita sia che non la nominino o che la chiamino in un altro modo, perché partono dal considerare la violenza contro le donne come un semplice conflitto di coppia in cui sono le donne a essere altamente conflittuali: non si distingue cioè, per impreparazione, la violenza domestica dalla semplice conflittualità in una coppia che si sta separando. Per la dottoressa Reale se la donna è resistente alla relazione di un partner violento e teme anche per il figlio, “sarà considerata genitorialmente inadeguata perché il genitore adeguato è quello che favorisce la relazione con l’altro, qualsiasi cosa sia successa prima: un passato che non è mai valutato nelle Ctu”.
“Queste consulenze tecniche d’ufficio – continua – non sono quasi mai redatte da esperte di violenza domestica e si rifanno a teorie psicodinamiche o sistemiche relazionali che pongono la responsabilità dei fatti o in vicende individuali infantili, oppure in una relazione di coppia sempre paritaria e collusiva, anche se la violenza invece pone al suo fondamento, come afferma laConvenzione di Istanbul, una disparità di potere tra uomo e donna. Dalla mia esperienza – conclude la psicologa – la Pas o l’Ap viene usata per lo più contro le madri a favore dei padri perché alle donne viene tolto il diritto, nei processi sull’affido, di parlare della violenza e di quello che hanno subito loro ed i figli. Nei processi per l’affido le donne devono solo mostrare adattamento alla condivisione con il partner nonostante questa, nei casi di violenza, divenga uno strumento di vessazione sulla donna a prosecuzione del maltrattamento durante la convivenza. La violenza e lo stalking post-separativi hanno quindi come strumento tipico di vessazione l’uso strumentale dei figli sia per screditare la madre, ma anche, e questo lo si trova solo come tratto specifico di un comportamento maschile, come strumento di controllo e mezzo per avvicinare la madre per continuare a maltrattare, ingiuriare, svilire e picchiare la partner”.
Continuare a parlare di Pas o di Alienazione parentale o non nominarla affatto ma sostenerne il meccanismo, è quindi la stessa cosa ed è un incentivo per i padri violenti a continuare con le violenze rimanendo impuniti. Per questo una legge che considera l’Alienazione parentale (questa volta nominata chiaramente da Bongiorno) come base per un reato, sarebbe quindi comunque una legge basata sulla Pas che, oltretutto, rischierebbe di mandare in galera le donne che hanno subito violenza domestica e cercano di tutelare i loro figli.
E questo non perché non esistano separazioni conflittuali in cui i genitori (e non il bambino che deve essere lasciato fuori) non debbano fare un percorso, ma perché in Italia il concetto di Pas o Alienazione parentale, viene purtroppo applicato sistematicamente nei tribunali dei minori e nei tribunali civili a situazioni di violenza domestica non riconosciute nel momento della separazione, e quindi dell’affido, dove il minore è sempre più spesso o dato in affido condiviso, malgrado il padre sia un maltrattante, o prelevato dalla casa in cui vive e rinchiuso in casa famiglia. Questa è la realtà dell’Italia che conta la maggioranza dei casi in questo Paese, e che rappresenta una chiara violazione dei diritti umani, in cui Bongiorno e Hunziker si sono inserite, magari senza saperlo e sicuramente in buona fede.
Come ricordavano le avvocate dei centri antiviolenza, “Dare spazio a informazioni infondate e visibilità a proposte di legge come quelle pubblicizzate da Giulia Bongiorno e Michelle Hunziker non solo vanno in direzione contraria alla tutela dei diritti dei minori, ma prestano il fianco ad un uso strumentale e antidemocratico del diritto che danneggia i bambini e le bambine e discrimina le donne”. Per questo attendono ancora che la Rai e Fabio Fazio diano la possibilità di rettifica a quanto detto a “Che tempo che fa” da Michelle Hunziker.