Ottantaquattro corpi a terra nel cortile di un’università: il cortile però non è quello di Garissa, in Kenya, e i corpi non sono neri. Il teatro è il Bo, cuore dell’Università di Padova, una delle più antiche del mondo, simbolo della libertà di ricerca e di pensiero, e gli studenti sono bianchi, sono i «nostri» ragazzi. È la provocazione lanciata da Fabrica a cui hanno aderito il Rettorato e gli studenti dell’Ateneo veneto per ricordare e mostrare solidarietà ai 147 studenti kenioti uccisi il 2 aprile da fondamentalisti islamici nell’Università di Garissa.
Ci sono morti che pesano e segnano la storia e altre che passano quasi inosservate. Mentre l’attentato all’interno della redazione della rivista satirica parigina Charlie Hebdo, con le sue dodici vittime, ha suscitato un’ondata mondiale di immedesimazione e di indignazione, la morte di 147 studenti a Garissa ha provocato un orrore svaporato come un’emozione fugace per un fatto che non ci riguarda così da vicino.
«Come indica il motto dell’Università di Padova “Universa Universis Patavina Libertas” – spiega Sofia Sutera, una delle studentesse partecipanti alla performance nel Cortile Antico del Bo – la libertà è la conquista più grande che si possa raggiungere e per cui bisogna sempre lottare perché in ogni momento nuovi fondamentalismi possono cercare di portarcela via. Purtroppo però bisogna sempre ricordare che l’ignoranza e l’indifferenza uccidono ancora più delle armi ma mi auguro davvero che un giorno riusciremo a renderci conto che siamo tutti fratelli, appartenenti ad un’unica famiglia da cui dipende il futuro stesso della Terra, perché gli studenti uccisi a Garissa siamo noi stessi, non sono altri rispetto a noi. Siamo noi: studenti che continuiamo a morire per i valori in cui crediamo, quando invece dovremmo vivere per i valori in cui crediamo».
«Quei ragazzi – scrive Ana Camila Annarelli, 22enne studentessa di Psicologia – avremmo potuto essere noi. Quei ragazzi erano come noi. Persone che si stavano creando un futuro seguendo i propri sogni, le proprie ambizioni, persone che come noi volevano raggiungere i propri obiettivi. E invece sono stati strappati dalle loro stesse vite».
«Nulla – dice Nora Del Cordo che studia Scienze Politiche ricordando il giorno in cui ha saputo della strage – mi rende poi così diversa da Ruth o Maggie, Dorren o Mary. Studentesse e cristiane. Come me, ma in Kenya. Mai ho provato di più il senso di appartenenza a un gruppo come in questa tragedia. Ho pianto e stretto i pugni, ho provato tristezza ma soprattutto impotenza. Sono cristiana e sono fiera di esserlo e non proverò più vergogna nell’esserlo, non proverò più a cambiare argomento quando qualcuno mi dirà: “Ma perché vai a messa?”. Non lo faccio solo per me, ma per tutte le persone che pur di rinunciare alla propria fede, al proprio Dio preferiscono morire in modi terribili e disumani, ma con la dignità che li rende eroi. Voglio partecipare a questo progetto per non provare quel senso di impotenza che per un attimo mi fece detestare il mondo. Voglio partecipare perché ho speranza, perché amo la vita e le persone sono l’unica chiave per aprire la porta del “Mondo Migliore”».
La fotografia realizzata da Fabrica nel Cortile Antico del Bo riproduce in maniera quanto più simile possibile quella circolata su twitter degli studenti nel cortile morti a Garissa: vuole essere uno stimolo a riflettere che parte da un’Università insignita della Medaglia d’Oro al valore militare per l’impegno di studenti e professori nella lotta di liberazione dal Nazifascismo.
Fabrica è il centro di ricerca sulla comunicazione di Benetton Group, fondato nel 1994. Offre a giovani creativi di tutto il mondo una borsa di studio annuale per sviluppare progetti di ricerca nelle aree di design, grafica, fotografia, interaction, video, musica e giornalismo.
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