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Invalsi: un termometro costoso

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Assurti agli onori della cronaca per le notizie di boicottaggi più o meno reali, i test Invalsi per le scuole elementari, medie e superiori in questi giorni hanno di sicuro aumentato la loro notorietà presso l’opinione pubblica. Attraverso formulari e quesiti, tali prove ambiscono a disegnare il livello e la qualità raggiunta dagli studenti nella loro preparazione e, quale conseguenza, la professionalità dei docenti e l’efficienza del “sistema scuola”.

Fanno una mappa, in sostanza, e ci dicono che alcune aree sono sostanzialmente più in difficoltà rispetto ad altre. Voi direte: e ci voleva l’Invalsi? Ci sono posti dove la scuola è già tanto se regge, nel senso fisico e nel significato sociale, che immaginarne anche un perfetto funzionamento sarebbe un atto di fede. Ma volendo sorvolare su questo, quello che mi lascia perplesso è un altro aspetto della questione. Supponiamo pure che quello strumento di valutazione sia il miglior termometro possibile, digitale e con decine di funzioni specifiche e dedicate, il meglio che si possa immaginare per misurare e definire la febbre delle nostre scuole. Bene; vogliamo continuare a spendere soldi per cambiargli le pile, per sapere ogni anno quanta e dove è la febbre, o si può immaginare di cominciare a ragionare sulla diagnosi e comprare qualche medicina per combatterla?

Me lo chiedo perché, nella corsa all’approvazione della Buona scuola, il Pd ha proposto e fatto approvare un emendamento della deputata Simona Malpezzi che destina ben 8 milioni di euro all’Istituto di valutazione per il quadriennio 2016-2019. Il calcolo dei costi annuali di questo ente non è precisamente determinabile, diciamo che si conoscono i costi anno per anno. Nel 2015, secondo quanto dichiarato dal Miur, la spesa è stata, euro più, euro meno, di circa quattro milioni e mezzo. Questo per le sole spese di funzionamento e per gli stipendi di chi ci lavora, a cui vanno aggiunti tutti i costi per i test, per la prova dell’esame di terza media e per la partecipazione ai programmi internazionali di valutazione, che sarebbero attività istituzionali, come dicono dallo stesso ministero, ma a cui, nell’ultima Finanziaria, sono stati destinati, come cifra una tantum, circa 10 milioni di euro. Fra una misura e l’altra, per il periodo fino al 2019 l’Invalsi disporrà di una ventina di milioni.

Tanti? Pochi? Non lo so, giudicate voi. Entrate in una delle scuole della vostra città o del vostro quartiere, anzi, in più di una, fatevi un giro, valutate la situazione in cui si trovano e le dotazioni che hanno o di cui mancano, e decidete. In uno Stato che finanzia la scuola pubblica con appena il 4,6% del proprio Pil, e che per questo occupa l’ultima posizione della classifica fra i Paesi Ocse, possiamo permetterci tali spese per simili istituti? E non è forse in quello scarso investimento la ragione prima, se non anche ultima, dei risultati di cui poi, cadendo dalle nuvole, gli stessi governanti che quelle ristrettezze finanziarie impongono, prendono coscienza, nello valoroso e coraggioso sacrificio del cercare altrove le responsabilità?


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