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Il silenzio dei giornalisti fa bene al potere

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Le strategie dei potenti nei confronti della libera informazione, vero cane da guardia della democrazia e delle istituzioni (definizione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo), sono, più o meno, quelle usate dalle mafie. La minaccia fisica è sostituita dalla querela (penale e civile), per indurre alla censura o peggio all’autocensura. Per un giornalista che scrive per un piccolo giornale di provincia, perdere una causa, potrebbe significare la fine della professione e la crisi del giornale.

In tv le trasmissioni che fanno inchiesta si portano dietro decine di querele con richieste milionarie di risarcimento: Report di Rai 3. L’obiettivo è quello d’intimidire il giornalista, che alla minaccia del potente vede aggiungersi le pressioni dell’editore. Recentemente le mafie, non solo minacciano l’incolumità di chi scrive, ma chiedono e ottengono anche il licenziamento del redattore, com’è successo a Enzo Palmesano cacciato su due piedi dal Corriere di Caserta su richiesta del camorrista Vincenzo Lubrano, com’è emerso dalle intercettazioni ambientali. In una lettera ad Articolo 21 Palmesano ha denunciato: “Non posso più scrivere sulla stampa locale casertana, non posso più pubblicare le mie inchieste sugli intrecci tra politica, affari e camorra”. Per Ossigeno per l’informazione dall’inizio del 2015 i giornalisti minacciati sono stati 116, dal 2006 a oggi ben 2.261, la regione più colpita il Lazio seguita da Campania e Lombardia. Circa cinquanta vivono sotto scorta, recentemente a noti: Saviano, Capacchione, Abbate e Tizian, si è aggiunto Sandro Ruotolo (#iostoconsandro) minacciato dal boss Michele Zagaria per aver realizzato, per Servizio pubblico, un’inchiesta sulla terra dei fuochi che conteneva un’intervista a Carmine Schiavone, il camorrista collaboratore di giustizia recentemente scomparso.

L’ennesimo declassamento dell’Italia dal 49esimo al 73esimo posto nella classifica mondiale della libertà (Reporter sans frontières) è dovuto al numero di giornalisti minacciati, sotto scorta e querelati. Tutto ciò ha un unico obiettivo: mettere il bavaglio per spegnere la luce sugli affari che neccessitano di buio e silenzio. Il legislatore non sta dalla parte di chi informa. A proposito di diffamazione, con la scusa di togliere il carcere ai giornalisti per reati di stampa, il testo, che modifica la legge del 1948 (approvato al Senato), sta introducendo norme molto severe sul piano pecuniario e aumentando le limitazioni e i condizionamenti sulla libertà dell’informazione anziché diminuirle, come dovrebbe avvenire un paese così detto democratico.

* Fonte: “Il Fatto Quotidiano”


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