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Il caso del crocifisso a Terni. Tra strumentalizzazione e superficialità

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Un undicenne all’uscita della scuola media che frequenta colpisce una compagna di classe con un pugno. Come fa una lite tra bambini a finire sulle pagine di quotidiani nazionali e locali, cartacei e online? Se il protagonista è senegalese e di religione musulmana si fa presto a far emergere l’elemento dell’”aggressione per motivi religiosi”. Anche quando non vi è alcuna conferma che la religione c’entri davvero. Anche quando diversi fatti indicano il contrario. Anche quando il protagonista ha solo undici anni e l’episodio consiste in un litigio tra bambini, come in questo caso.

È un esempio lampante di cattivo giornalismo, in bilico tra superficialità e strumentalizzazione, quello che vede più testate riportare questa storia.

I fatti si svolgono giovedì 14 maggio. Il giorno successivo, troviamo online numerosi articoli che trattano la vicenda. I titoli non lasciano dubbi sulla ragione alla base dello scontro e prescindono dall’orientamento della testata; sono pochissimi, inoltre, quelli che riportano l’accusa solo come citazione, tra virgolette. Per i tanti utenti che si fermano al titolo o alle prime righe la storia è chiara: una bambina è stata aggredita da un compagno di classe straniero perché indossa un crocifisso. Anche per chi prosegue nella lettura la versione dei fatti non cambia molto; viene dato molto spazio a quanto denunciato dalla madre della bambina, stando alla quale il ragazzo avrebbe intimato alla figlia di togliere il crocifisso subito prima di colpirla. Versione che, tuttavia, non trova altri testimoni – questo però negli articoli non viene detto.

Fanno eccezione alcuni pezzi in cui fin dall’inizio si pongono dubbi sulla veridicità di questa prima versione dei fatti e si riportano voci differenti rispetto a quella della madre; come quella della preside, la quale fin dal primo momento afferma di non ritenere possibile l’esistenza di una ragione religiosa, attribuendo invece il gesto al difficile rapporto tra i due compagni di classe.
La notizia cattura subito l’interesse dei lettori e di alcuni rappresentanti della classe politica italiana. Ne è un esempio il commento pubblicato da Giorgia Meloni nel condividere il titolo del Messaggero – Umbria.

Terni: un ragazzino senegalese picchia una bambina sua coetanea perché colpevole di indossare una collanina con un…

Posted by Giorgia Meloni on Venerdì 15 maggio 2015

L’attenzione riservata alla notizia, insomma, è molta, tanto che il giorno dopo, il 16 maggio, passa dal web alla carta.
Sul Corriere della Sera la troviamo in «Aggredita a 12 anni perché porta il crocifisso». «Parlava lui ma non erano parole sue. È stato lui a dare un colpo alla schiena della sua compagna di classe, ma non era sua la rabbia che lo ha fatto agire», nessun dubbio sulle motivazioni del ragazzo da parte della giornalista, la quale riflette sull’influenza che l’intolleranza promossa dagli adulti possa aver avuto su di lui. Secondo l’articolo il ragazzo è arrivato attraversando il Mediterraneo insieme alla famiglia ed è sbarcato «in Sicilia nei giorni degli sbarchi a migliaia, un mese fa». Si legge ancora: «Mentre più di 8oo migranti morivano andando a picco insieme a uno di quei barconi, lui, i suoi genitori e i suoi fratelli, erano sulla via verso Terni, in salvo». Con un trafiletto pubblicato domenica 17 maggio il Corriere prende, però, una direzione opposta. In «Il bimbo aggressore di Terni che gioca all’oratorio» ci mostra una foto del bambino senegalese mentre «gioca felice a biliardino – ieri – proprio sotto una croce lignea nell’oratorio». Il breve articolo riporta quanto raccontato a un mediatore culturale dall’undicenne: avrebbe reagito con quel pugno alle continue prese in giro della compagna. L’autore aggiunge anche che il padre del ragazzo vive e lavora in Umbria da 20 anni e che, stando a quanto il genitore stesso afferma, l’undicenne non è arrivato con un barcone, ma in aereo insieme a lui, andato fino in Senegal a prenderlo.
Dato il cambiamento repentino di visione è spontaneo chiedersi quanto tempo sia stato dedicato alla verifica e all’approfondimento della notizia durante la realizzazione dell’articolo pubblicato il giorno precedente.
Il Giornale, sempre il 16 maggio, è ancora più fermo: «Ci mancavano i bulli islamici» («Islam violento a casa nostra»). La ragione del pugno è data come certa: «Il motivo? Portava al collo un crocifisso», scrive il giornalista secondo il quale, inoltre, il bambino avrebbe dichiarato anche ai carabinieri di aver colpito la coetanea “per colpa del crocifisso al collo″». Dichiarazione, questa, che non trova affatto la conferma dei carabinieri.
Toni simili usa Libero in «Piccoli talebani crescono. In casa nostra». Il giornalista porta il caso come esempio per sostenere la sua tesi: «Agli italiani convinti che la solidarietà imponga loro di ospitare il maggior numero di stranieri sul territorio nazionale […] forse servirà meditare su un secondo caso di cronaca. Ieri, a Terni, un dodicenne senegalese ha aggredito una compagna di classe italiana perché indossava una collanina con una croce appesa. […] Trovava insopportabile l’esibizione del simbolo cristiano […]».
Non si pone domande neppure Il Tempo, che dedica meno spazio alla storia con un breve articolo dal titolo esplicito:«Bimbo africano picchia 12enne perché porta il crocifisso».
Il 16 maggio a distinguersi tra i quotidiani cartacei è solo Repubblica. Fin dal titolo – «“Mia figlia aggredita a scuola per il crocefisso”. Ma la preside smentisce» – la posizione scelta dalla testata appare diversa. L’autore dell’articolo invita alla «cautela, nel raccontare questa storia». Riporta la testimonianza della madre della bambina colpita per poi passare al racconto della preside, che ripercorre altri episodi negativi legati al già teso rapporto tra i due e arriva, infine, alle parole del padre: «La sua è stata una reazione a delle vessazioni. Il crocifisso non c’entra».
Il giorno dopo, domenica 17, l’unico spazio che la notizia trova sulla carta stampata è il trafiletto già citato del Corriere. Mentre le voci si moltiplicano e con esse gli aggiornamenti online (quasi tutte le testateonline ora non danno più per scontata la versione raccontata dalla madre della bambina), il lettore dei soli quotidiani cartacei resta – e resterà – convinto che i fatti riportati il giorno prima si siano davvero svolti nel modo in cui sono stati raccontati.
L’impressione che abbiamo è che, nel raccontare questa storia, alcune testate abbiano peccato di superficialità, altre, invece, sembrano aver deciso deliberatamente di strumentalizzarla. Il risultato non cambia poi molto: tanti lettori hanno ora una visione distorta dei fatti, alcuni politici sfruttano questa confusione per promuovere xenofobi, la famiglia coinvolta potrebbe pagare le conseguenze di questa “pubblicità” negativa gratuita.

Gratuita perché alimentata solo da una iniziale bugia o convinzione sbagliata. Rispondete onestamente: questo episodio sarebbe finito su tutti i principali quotidiani italiani se non fosse stato introdotto a sproposito, da subito, l’elemento religioso? La nostra risposta, onesta, è no.

Fonte: Carta di Roma


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