La questione della mancata integrazione dei Rom – deflagrata dopo il mortale investimento a Roma – è una ferita aperta nella convivenza. Mai affrontata con programmi seri e duraturi di istruzione e legalità, salvo tentativi sporadici e interrotti.
Le cause di tanta trascuratezza sono tante, dalla progressiva mancanza di fondi, alla complessità del problema, che richiede un approccio articolato, coordinato e duraturo. Al contrario, tutto è stato lasciato marcire. Così, dopo la drastica riduzione dei progetti di supporto alla scolarizzazione dei minori e di presidio sociale dei campi, vediamo sempre più bande di ragazzini borseggiare nella metropolitana. E campi di sosta abbandonati al degrado e all’isolamento.
Pochi hanno il coraggio di rompere questa incomunicabilità, costruendo percorsi di inclusione. Perché politicamente non paga dedicarsi al recupero dei Rom. Mentre paga moltissimo lanciare campagne di ostilità generalizzate.
Il fatto è che quando uno Stato non è in grado di soddisfare dignitosamente i bisogni primari dei propri cittadini (casa, lavoro, istruzione, assistenza…) ogni iniziativa di sostegno ad altri soggetti – come Rom e migranti – viene percepita come una intollerabile sottrazione di fondi già scarsi.
Le guerre tra poveri sono quelle più violente, perché più istintive. Si accetta che un ricco evada milioni di tasse o rubi fondi pubblici. Ma guai a dire che un immigrato o un Rom costa poche decine di euro al giorno. Perché è un attimo ed ecco invocare le ruspe dai ruspanti. Che non risolvono niente, ma trasformano la rabbia in voti per tanti.
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