Nel mio lavoro non ho fatto che difendere donne e bambini raccontando ingiustizie e violazioni, descrivendo storie, leggendomi fascicoli giudiziari, proposte di leggi, per tradurre e informare. Ho difeso, preso posizione senza paura di essere giudicata “non oggettiva”, mi sono battuta, ho ascoltato donne che mi bussavano alla porta perché disperate nell’incubo di una vita accanto a un marito violento, dando voce ai soggetti più esposti alla prepotenza di un potere a volte nascosto dietro volti rassicuranti.
Oggi però vado in controtendenza, e anche se non ho mai preso posizione per difendere un uomo, questa è un’ottima occasione per farlo. E a offrirmela è un amico e collega, un uomo che stimo per la sua trasparenza, serietà, umanità profonda. Un uomo che potrebbe essere d’esempio a molti altri e che oggi rischia il carcere per aver lavorato e diretto un giornale che, una volta fallito, ha scaricato sui giornalisti tutte le responsabilità. Lui è Antonio Cipriani, giornalista dell’Unità che ha diretto L’Ora di Palermo per passare poi alla direzione di E-Polis, e che nel 2011 ha lasciato DNews per fondare la piattaforma The Globalist Syndication diretta dal fratello Gianni Cipriani.
Ma come può un giornalista serio che non ha mai fatto torti a nessuno e non ha mai fregato 100lire, rischiare il carcere? Ce lo spiega lo stesso Antonio che su Globalist.it ha raccontato la sua storia (riportata per intero qui sotto) cercando di riassumere i fatti e il suo stato d’animo. “Nel 2011- scrive Antonio – E Polis è fallito tra debiti, inchieste, accuse di bancarotta. E questo fallimento ha scaricato sulle spalle dei giornalisti le cause in corso. Trentaquattro processi sulle mie spalle di direttore responsabile. Un’enormità. Trentaquattro processi sparsi in tutt’Italia, perché E Polis usciva e veniva stampato in tutta Italia. Trentaquattro processi senza alcuna difesa e senza alcun aiuto”.
Oggi Antonio non ha più risorse e non potendosi più permettere un avvocato, viene aiutato dagli amici, ma non basta perché davanti a lui ha la prospettiva di una condanna in penale e di una carcerazione: “Senza nessun editore alle spalle – racconta – senza fondi. Senza niente altro che i risparmi di una vita da mettere sul piatto giudiziario. Per pagare. Pagare sempre. Perché alla fine tutti si riduce a questo. Se hai i soldi paghi, chiudi con un accordo, ed eviti problemi. Se non hai soldi e combatti, alla fine non puoi che perdere”. Un uomo contro tutto, un caso dal sapore kafkiano che improvvisamente diventa realtà ma che sembra scaturita da uno dei peggiori incubi di un pazzo. Un caso assurdo in cui Antonio viene scaraventato da un giorno all’altro, e dove è costretto a correre dietro la propria libertà, un caso dove “gli effetti di un fallimento, di azioni in alcuni casi non proprio limpide degli editori, ricadono sulle fragili spalle di chi invece pensava di poter esercitare la libertà di stampa e di garantirla ai suoi colleghi”. Fino ad arrivare all’epilogo, dove Antonio, stremato nel fisico e nella psiche nonché prosciugato nelle tasche, non riesce a difendersi dall’ennesima accusa, quella di omesso controllo: un’accusa per la quale oggi rischia la prigione: “Anche l’ultima condanna, quella assurda al carcere per un omesso controllo (neanche a scomodare il reato d’opinione, cosa che per altro si tratta), è arrivata per la mancanza di soldi. Perché non avevo denaro per pagarmi un avvocato. Così è”.
Ma il paradosso non finisce qui, perché dopo una vita scoperchiata per aver lavorato come direttore di un giornale andato a gambe all’aria, dopo essere stato lasciato solo nel momento della resa dei conti, oggi Antonio rischia la galera proprio mentrenelle aule del parlamento è in discussione la riforma della legge sulla diffamazione che dovrebbe mettere fine alla carcerazione per i giornalisti: una pena abnorme per chi fa questo mestiere, e può anche rimanere vittima di querele intimidatorie per quello che scrive (anche quando si tratta della verità), soprattutto se pensiamo all’impunità che in Italia imperversa verso offender sulle donne e verso maltrattanti e abusanti sui minori. Ma riuscirà Cipriani a rientrare in una legge che è ancora in discussione in Commissione giustizia? Riuscirà a rincorrere il tempo per avere come premio la sua libertà? In Italia è molto improbabile. E se così non è, per lui non c’è neanche un Presidente della Repubblica che accordi la grazia, come successe al direttore del “Giornale” graziato da Napolitano.
Per questo, e per un senso di giustizia profondo, chiedo a tutti i colleghi e le colleghe di divulgare la sua storia (come già stanno facendo in molti), ma chiedo anche a tutti e a tutte di lanciare appelli pubblici sui social, sulle vostre bacheche facebook e su twitter con l’hastag #LiberAntonio, affinché Cipriani non debba rischiare il carcere per una legge che sta per essere cambiata proprio perché ingiusta.