Divampa su FaceBook il dibattito sul caso della collega Floriana Rullo, che denuncia di essere stata discriminata da Expo.
Divampa su FaceBook il dibattito sul caso d’una collega, Floriana Rullo, che denuncia di essere stata discriminata da Expo: si voleva accreditare a una conferenza stampa, precisando che ci sarebbe andata col figlio di tre mesi, ma le è stato risposto che non è possibile. Allora Floriana ha controproposto di farsi accompagnare dal marito, anch’egli giornalista, accreditandolo, ma le è stato risposto che la testata del marito ha già un altro giornalista accreditato.
Credo che il tema solleciti anche noi, come giornaliste e Giulia come associazione di giornaliste. Quanto a me, vorrei prendere posizione, senza ovviamente pretendere di parlare a nome di tutte le colleghe. Anzi spero che le colleghe si sentano sollecitate a dire la loro, per arricchire la riflessione e permettere di costruire proposte. Ecco, direi che in questo caso la discriminazione è a monte, ossia nella mancanza di strumenti che consentano la partecipazione. La “colpa” non è dell’ufficio stampa. E neanche degli organizzatori della conferenza, che essendo ad inviti consente loro di scegliere quante e quali persone accettare. Sarebbe occorso un servizio a latere, che tuttavia non si può imporre, non ora almeno: però si può iniziare una battaglia perchè venga previsto in futuro. Come accade in alcune aziende avanzate, che hanno l’asilo nido interno, oppure nell’organizzazione di alcuni convegni, che egualmente prevedono una nursery. Ricordo ad esempio, e parlo di dieci anni fa, la visita ad un’azienda in Svezia, coi bimbi di dipendenti che giravano tranquilli.
Visti gli spazi sterminati di Expo non è pensabile una nursery centralizzata – così come già esiste un servizio di carrozzelle per portatori di handicap -, ma occorrerebbe che ogni evento prevedesse uno spazio per i bambini anche neonati. Cosa che non si può imporre allo stato e all’azienda ospiti. Ma che ab origine andrebbe suggerita ad espositori e partecipanti. L’inopportunità della presenza di bambini in una conferenza stampa, frequentata non solo da giornalisti scriventi ma anche da giornalisti fotografi e cineoperatori, è data dalla stessa Carta di Treviso che, a tutela dei minori, impedisce la riproducibilità dei volti dei minori ed il loro riconoscimento. Neanche l’eventuale presenza del marito al fianco della collega l’avrebbe risolto. Peraltro non credo possa definirsi in sè come discriminazione antifemminile: se fosse stato un padre ad avanzare la stessa richiesta, credo che il diniego sarebbe stato eguale.
Lo dico senza neanche entrare nel merito di altre possibili obiezioni di sicurezza e di controllo dei comportamenti (il pianto del bambino) che l’Expo mette in atto non diversamente da altre aziende italiane di comunicazione e non. Provate infatti a cercare di entrare con un bambino o con un animale in Rai, a meno che non siano stati invitati ad una trasmissione…. Lo dico memore di quanto accadeva a me, molto tempo fa (mio figlio ha 36 anni…), quando lavorando in quotidiani venivo spesso spedita fuori Milano come inviata. Nonostante asili e scuole nonchè la convivenza con una studentessa alla pari, mi capitava di dovermi portare dietro il bambino, di nascosto naturalmente, con i costi economici e con le angosce che si possono immaginare.
Dobbiamo dunque essere grate a Floriana che ci ricorda come non questo o quell’evento, ma tutta la società italiana sia impostata su una separatezza che penalizza fortemente le madri. Pochissimi asili nido, poche scuole d’infanzia, niente sussidi… Non occorre andare in Svezia, basta fare un salto in Francia per vedere come funziona il welfare familiare con l’arrivo di un figlio. In Italia però, se ci provi a cercare la soluzione, ti mettono i bastoni fra le prove. Ai tempi in cui presiedevo la Cpo Fnsi facemmo una battaglia presso tutte le aziende editoriali perchè prevedessero, al loro interno oppure in collegamento con altre aziende vicine, asili nido e spazi per figli delle dipendenti (o dei dipendenti). Alcune risposero piene di buona volontà e disposte anche ad investire economicamente, ma la mole di imposizioni burocratiche e di cavilli le costrinsero a rinunciare…
Dunque questa dell’agibilità della giornalista madre è una “nostra” battaglia e la combatteremo.
Marina Cosi