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Cameron stravince e l’Europa perde. E ora fuori Londra dall’UE?

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Come per le recenti elezioni in Israele, anche per quelle britanniche i più autorevoli istituti di sondaggio hanno fatto “flop”. A Londra hanno trionfato i conservatori di David Cameron, previsti invece in calo e con pari seggi dei laburisti di Ed Miliband, così come a Tel Aviv ha vinto il Likud di Benjamin Netanyahu contro l’alleanza di centrosinistra dell’Unione sionista, anch’essa data alla pari. Entrambi si sono rafforzati a destra. Entrambi radicalizzeranno la loro politica, fin qui già neoliberista e isolazionista.

Il voto in Gran Bretagna, comunque, pone almeno due interrogativi inquietanti: la non-democraticità del sistema elettorale; la vocazione geopolitica di riconoscersi “fratelli separati degli Stati Uniti” e “cugini spocchiosi dell’Unione Europea”. Non c’è dubbio che entrambe le questioni siano legate al declino del sistema capitalistico contemporaneo, marchiato dal neoliberismo monetarista (che parte dalla Scuola di Chicago di Friedman, con la Thatcher e Blair per arrivare all’attuale crisi globale finanziaria degli ultimi 7 anni).

Evocato a modello dall’ala renziana del PD, per legittimare la nuova legge elettorale “Italicum”, che prevede un forte premio di maggioranza alla Camera, quello anglosassone, in realtà, è un sistema maggioritario puro. In un collegio vince il rappresentante del partito che ha raccolto anche un solo voto in più degli altri. A loro volta i voti degli avversari vanno dispersi a livello nazionale. Li si conteggia per puro spirito statistico, ma non apportano seggi. Si tratta, insomma, di un “maggioritario localistico”, dove non conta il numero assoluto dei voti, ma la ripartizione dei 650 seggi per le 4 “Regioni” in cui è suddiviso il Regno Unito (Inghilterra 533 collegi/seggi; Scozia 59; Galles 40; Irlanda del Nord 18). Non esiste un Collegio unico nazionale col quale ripartire i seggi secondo il numero dei voti ottenuti extra dai partiti, che magari hanno perso negli scontri diretti locali. Certo, la “proporzionale pura” fa disperdere i voti, spesso non fornisce subito un vero vincitore e a volte si deve ricorrere ad artificiose coalizioni. L’Italicum ha optato per uno sbarramento al 3% al primo turno. I francesi hanno un sistema dove i collegi uninominali hanno il vincolo di un livello di voti piuttosto alto, altrimenti si va al ballottaggio tra due o tre sfidanti. I tedeschi, invece, un proporzionale corretto con lo sbarramento al 5%; mentre altri utilizzano varianti più o meno simili, ma pur sempre abbastanza corrispondenti ai voti complessivi espressi dai partiti presenti alla competizione elettorale.

In Gran Bretagna, i voti degli sconfitti nei collegi non contano nulla e così si arriva all’assurdo che il partito “euroscettico” UKIP di Nigel Farage abbia conquistato 3 milioni e 881 mila voti (12,64%), con un aumento del 9,55% e, assurdità del sistema inglese, ha ottenuto solo un rappresentante, perdendone addirittura uno; mentre il Partito Nazionale scozzese con 1 milione e 454 mila voti (4,74%) ne ha presi 56 e i Liberaldemocratici (alleati finora di Cameron) con 2 milioni e 415 mila voti (7,87%) solo 8. Insieme, questi due partiti hanno ottenuto in assoluto e in percentuale gli stessi suffragi dell’UKIP, ma a Farage non è stato sufficiente per rappresentare realmente il suo elettorato ai Comuni né di proclamarsi il vero vincitore come performance elettorale, dopo l’exploit alle europee dell’anno scorso.

A queste elezioni su 46 milioni e 140 mila elettori hanno votato in 30 milioni e 700 mila, ovvero il 67,30% (nel 2010 furono 29 milioni e 653). I conservatori di Cameron hanno ottenuto 11 milioni e 300 mila voti (36,93%) con un incremento dello 0,46% (600 mila voti in più); i Laburisti di Miliband, invece, 9 milioni e 347 mila (30,45%), 700 mila elettori in più, +1,46%. In seggi parlamentari i Tories ne hanno guadagnato 28 in più, raggiungendo la maggioranza assoluta di 331; mentre i Labour sono scesi di 25 parlamentari, totalizzandone 232. Cameron vince in Inghilterra, mentre Miliband perde sonoramente in Scozia a favore dei “laburisti scozzesi nazionalisti”, che fanno cappotto, conquistando 50 parlamentari in più rispetto al 2010. Ma quello che salta agli occhi è che partitini locali, tradizionalmente favorevoli alla “devolution” da Londra (non proprio separatisti come gli scozzesi, almeno per ora) con percentuali irrisorie, poco sopra lo zero, sono riusciti ad ottenere più seggi dell’UKIP. Per non parlare, poi, dei Verdi, che ottengono un successo clamoroso con 1 milione e 156 mila voti (3,77%), ma ottengono un solo deputato, pur avendo aumentato i consensi del 2,80%.

Certo Farage può risultare “antipatico” per le sue posizioni xenofobe, ultraconservatrici, di fervente separatista dall’Unione Europea, eppure ha riportato un consenso di voti e di opinione rilevanti, che mettono in seria apprensione le cancellerie continentali. Solo cinque anni fa, Farage aveva ottenuto 917.832 voti (3,1%): quasi 2 milioni di elettori in meno!

Paga la politica iperliberista di Cameron, il suo “scetticismo british” verso l’Unione europea, la ripresa economica e il tasso in salita dell’occupazione, ma soprattutto il saper amministrare con furbizia i fondi europei, copiosi, determinare le scelte legislative di Bruxelles a favore della visione anglosassone del sistema economico (basta pensare alle privatizzazioni dei servizi pubblici, la politica di austerità, di sostegno alle banche). Inoltre sa dispensare con intelligenza i finanziamenti centrali del regno a favore delle zone di maggiore influenza per i suoi parlamentari. Localismo e isolazionismo, due strade che porteranno Cameron nel 2017 al Referendum pro o contro l’uscita dall’Unione europea.

Oggi Cameron ha dalla sua parte un elettorato fortemente euroscettico, separatista, che si rivolge agli Stati Uniti come all’unica vera sponda per cultura, sistema economico-finanziario e radici storiche, nonché per le scelte geopolitiche. Basta assommare ai suoi voti quelli dell’UKIP e di altri partitini reazionari per capire che già ora il Referendum per la separazione dell’UE potrebbe contare su oltre il 51%. Sempre che il “miracolo economico” continui, la bolla immobiliare non si sgonfi di nuovo e i tagli al mitico Welfare britannico non si traducano in conflitti sociali e radicalizzazione politica.

E poi ci sono le spinte “secessioniste”. Anche se il recente Referendum separatista scozzese ha visto vincere i NO per il 55%, grazie al “sacrifico unitario” dei Laburisti (pagata ora cara proprio nella loro “roccaforte rossa”); con la schiacciante vittoria del NSP di Nicola Sturgeon, si rifanno ancor più pressanti le richieste di una “devolution”, che sa tanto di secessione da Londra. E, comunque, sarà vita dura ai Comuni per Cameron con la forte pattuglia dei “parlamentari con il kilt”! Le stesse tentazioni si rinvigoriranno per il Galles e l’Irlanda del Nord, dove i partiti nazionalisti hanno tenuto e avanzato. Cameron dovrà, pertanto, elargire finanziamenti a piene mani nelle tre “Regioni” ribelli, canalizzando anche i prossimi fondi europei verso le loro economie non floride, a scapito dell’Inghilterra, suo bastione elettorale. Per ora, ha vinto con l’impegno a rappresentare “un solo regno, uno Stato unito, da est a ovest, da nord a sud”.

Ma da domani, Cameron dovrà vedersela anche con un’opinione pubblica continentale stanca di sopportare i continui NO inglesi alle decisioni più solidaristiche, contraria al liberismo compassionevole” e favorevole all’allargamento del welfare keynesiano; un’Europa che vorrebbe svincolarsi dalla geopolitica bellicosa di Washington, incline più ad una visione “renana” dello sviluppo economico, piuttosto che monetarista e tutta protesa alla finanziarizzazione. Alla fine, se Londra si spostasse verso le sponde americane, perché si dovrebbe pensare ad una iattura e non, invece, ad una sfida positiva e gravida di opportunità?

Elezioni Gran Bretagna 2015

Abitanti: 64,1 milioni

Elettori: 46.139.900

Partiti Seggi Diff. Voti % +/- %
Conservatori 331 +28  11.334.726   36,93  (0,46)
Laburisti 232 -25    9.347.324   30,45  (1,46)
Partito nazionale scozzese   56 +50    1.454.436    4,74  (3,08)
Liberaldemocratici     8 -49    2.415.862    7,87  (-15,16)
Partito democratico unionista     8      184.260    0,60  (0,03)
Sinn Fein     4 -1      176.232    0,57  (-0,01)
Plaid Cymru (Galles)     3      181.704    0,59  (0,03)
Socialdemocratici e laburisti    3       99.809    0,33  (-0,05)
Partito unionista dell’Ulster    2 +2     114.935    0,37  (=)
Partito dell’indipendenza del Regno Unito (UKIP)    1 -1   3.881.064   12,64  (9,55)
Verdi    1   1.156.149    3,77  (2,80)
Affluenza   30.696.506   67,30

 


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