Nell’universo di Twitter, sotto l’hashtag #Bahrain si parla del Gran Premio di Formula 1, della presenza all’Expo 2015 di Milano e di lussuose architetture d’interni. Ma ci sono anche proteste, spesso soffocate duramente e report che parlano di sangue, repressione e torture.
Di Antonella Sinopoli
L’immagine del piccolo regno del Golfo Persico che appare è quasi schizofrenica: da un lato la ribalta di grandi eventi internazionali, dall’altro il controllo sui propri cittadini, specie quelli dissidenti. Ma le violazioni dei diritti umani, cominciate a partire dai primi accenni di risveglio della popolazione durante la Primavera Araba, ormai 4 anni fa, sono all’ordine del giorno nel Paese.
All’epoca la repressione fu subito durissima, per soffocare sul nascere la voglia di democrazia. La famiglia reale, Al-Khalifa, non corse rischi e l’aiuto del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC) non si fece attendere. Le truppe che entrarono nel Paese e diedero subito ai cittadini l’idea precisa di come sarebbe andata. A 4 anni di distanza, il web rimane uno strumento fondamentale per restare informati e per diffondere notizie su quanto sta accadendo laggiù. Ci prova Bahrain Watch con una rassegna stampa abbastanza aggiornata che comprende testate mainstream e blog. Eppure… Continua su vociglobali.it