Quarant’anni fa nasceva la sezione italiana di Amnesty International. Quarant’anni di mobilitazioni, campagne, iniziative per difendere i diritti umani in Italia e nel mondo. “Un’organizzazione – ci tiene a ricordarlo il presidente di Amnesty Italia Antonio Marchesi – che si basa sul lavoro volontario e sulle quote di iscrizione dei nostri attivisti. Il 97% del finanziamento della sezione italiana di Amnesty si basa su quella modesta quota di iscrizione che chiediamo a chi ci sostiene. Non siamo un’agenzia dell’Onu né un’organizzazione che continuerà ad esistere a prescindere… Abbiamo un bisogno costante, talvolta disperato, del sostegno delle persone che condividono le nostre battaglie”.
Quarant’anni di impegno per i diritti umani. Che valore ha questa ricorrenza?
E’ una data in cui si guarda al passato ma anche al futuro. Da un piccolissimo gruppo di persone qual era agli esordi, Amnesty Italia penso sia diventata una componente significativa della società italiana e ha contribuito negli anni a far crescere la cultura dei diritti umani, anche nel nostro Paese dove fatica ad affermarsi nell’opinione pubblica, nelle istituzioni e nel mondo politico. Quarant’anni di campagne che hanno riguardato paesi anche molto distanti partendo dal presupposto che i diritti della persona appartengono a tutti e che ogni violazione del diritto ci riguarda, anche se abita in un luogo lontanissimo.
E poi ci sono le campagne promosse in Italia soprattutto negli ultimi anni. Quali sono state le più significative?
Citerei quella contro la violenza sulle donne e la campagna per l’introduzione del reato di tortura, un obiettivo ancora da raggiungere ma parzialmente ottenuto. Un tema non più di nicchia ma di cui si occupano gli organi di informazione e che è stato finalmente incluso nell’agenda della politica.
Cosa manca affinché l’obiettivo sia completamente raggiunto?
Manca l’approvazione del Senato. C’è un testo approvato dalla Camera. Non è perfetto ma riteniamo che non sia opportuno discuterlo ancora, onde evitare il rischio di rallentare ulteriormente l’iter e arrivare a fine legislatura con un nulla di fatto. Speriamo pertanto che il Senato acceleri nell’approvarlo soprattutto perché, allo stato attuale, gli atti di tortura in Italia rischiano di essere puniti in modo troppo lieve o di non essere puniti affatto grazie alla prescrizione…
Avete vinto una battaglia importante: quella sulla pena di morte
E’ così. La pena capitale in Italia fino al 1994 era ancora prevista dal codice militare di guerra. Non veniva applicata da tanti anni ma era comunque una macchia nel nostro ordinamento. Al termine di una lunga campagna di Amnesty è stata cancellata.
Tra i diritti umani negati ci sono anche quelli dei migranti che sbarcano sulle nostre coste?
Indubbiamente. Molti di coloro che attraversano il Mediterraneo lo fanno al termine di un lungo viaggio che li porta sulle coste libiche dalla Siria o dall’Eritrea. Fuggono dalla guerra, dalle bombe e da repressioni sistematiche. Queste persone hanno diritto all’asilo politico o alla protezione umanitaria. Arrivano attraverso rotte pericolosissime ed è necessario individuare tragitti meno rischiosi.
C’è chi parla di invasione, è così?
Non certo in Europa come molti affermano retoricamente. Semmai sono altri a sopportare “l’invasione”. Ad esempio il Libano, un Paese grande come una piccola regione italiana e che sta ospitando ben ottocentomila profughi siriani. Per questo servirebbe che l’Europa consentisse il reinsediamento di una quota maggiore di quella concessa fino ad oggi.
Molti sono anche migranti economici che scappano dal proprio paese alla ricerca di una condizione di vita migliore. Quale atteggiamento bisognerebbe avere con loro?
Non fanno certo una cosa disdicevole e il giudizio morale su chi vuole migliorare la propria vita o quella della sua famiglia non può essere negativo. D’altronde, decenni fa – è quasi banale ricordarlo – sono stati tanti gli italiani emigrati all’estero. Pertanto chi entra per ragioni economiche magari non avrà lo stesso diritto di entrare rispetto a coloro a cui spetta il diritto d’asilo o di protezione umanitaria ma deve essere consentito anche a loro di entrare secondo canali di immigrazione regolari non così limitati come quelli attuali. Questo onde evitare anche che arrivino attraversino canali pericolosi e irregolari e che vengano sfruttati dalle organizzazioni criminali, che li fanno lavorare in nero come clandestini senza diritti…
L’Europa ha stanziato più fondi per la missione Triton. E’ sufficiente?
Assolutamente no. Sono stati destinati alcuni fondi in più senza modificare però le caratteristiche dell’azione. E così verranno pattugliate zone nelle quali tendenzialmente i naufragi non avvengono mentre, a differenza di “Mare Nostrum”, i pattugliamenti rimarranno lontani dalle coste libiche dove avvengono i naufragi. Un’operazione che serve all’Europa solo per salvarsi la faccia ma che non ha l’efficacia che servirebbe. Ci vuole un intervento di emergenza perché le persone partiranno comunque. Non è che quando si fugge da una bomba, da un carcere o dalla fame ci si ferma per qualche difficoltà…
L’informazione che aiuto può dare a chi si occupa dei diritti umani?
Se i media non ne parlano è difficile raggiungere la società civile e renderla consapevole. Solo attraverso un’informazione attenta si può stimolare l’opinione pubblica, modificare l’agenda dei governi e ottenere risultati immediati concreti come il rilascio di una persona o la commutazione di una condanna a morte.