Articolo21 torna a occuparsi di Erri De Luca, interrogato in questi giorni nel processo in cui è imputato per istigazione a delinquere, accusa mossa dalla procura di Torino a seguito della denuncia della società Franco-Italiana LTF Lyon-Turin Ferroviarie, dopo l’intervista rilasciata dallo scrittore all’Huffington Post nel settembre del 2013, in cui dichiarava che la Tav Torino-Lione andava sabotata. Lo scrittore ha affermato in aula:
“Ho istigato qualcuno a commettere reati? Non risulta. Nessuno mi ha mai dato questa responsabilità. A parte, naturalmente, la procura di Torino… Io, se istigo, istigo alla lettura. Al massimo alla scrittura”.
L’accusa sostiene invece che le parole del poeta si siano rivelate idonee a condizionare le scelte del movimento No Tav verso una possibile deriva violenta, ed è su questo che si pone l’interrogativo più serio e delicato: la libertà di parola, di pensiero, di creazione di un autore può essere censurata, imbavagliata, condannata o va sempre protetta?
La Francia ed il suo presidente Hollande ha sostenuto sin da subito l’appello di politici e intellettuali d’oltralpe in favore dello scrittore e in difesa della libertà d’espressione, principio cardine della Repubblica Francese, a loro si sono uniti nuovi comitati e diverse personalità internazionali, tra cui Salman Rushdie.
In Italia, il mutismo delle istituzioni appare assordante, particolarmente se lo si paragona alle barbare affermazioni di politici su questioni civili, etiche e umane, affermare che un campo Rom debba essere raso al suolo non è forse istigare alla violenza? Le parole di un onorevole non vanno giudicate, esaminate o condannate? Il respiro di un poeta nel nostro paese appare più pericoloso di quello di un altro individuo, eppure nessuno è innocente, il restare un uomo libero, un pensatore, per Erri De Luca non era un tentativo di instillare odio ma solo quello di opporre con le parole da lui perdutamente amate un rifiuto: “La parola contraria”.
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