Verso la svolta autoritaria: un anno dopo

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Di Sandra Bonsanti

Il 27 marzo del 2014 Libertà e Giustizia si fece promotrice dell’ appello “Verso la svolta autoritaria” con il quale si denunciava il rischio che la riforma del governo, se approvata, avrebbe potuto portare a forme di democrazia plebiscitaria.
Chiedevamo di fermare il progetto, lo stesso che aveva ispirato Berlusconi e che ora era invece un dono avvelenato del patto del Nazareno.
LeG e tutti i firmatari di quel documento furono investiti da accuse ingiuste e strumentali. Altri ironizzarono: non c’è dittatura in vista…Per un anno e ancora oggi è andato avanti questo tentativo di metterci a tacere: avevamo per primi denunciato il vero pericolo della riforma di Matteo Renzi.
La cosa si fece ancora più grave e per questo nuovamente ci mobilitammo quando fu chiaro che la proposta di legge elettorale, l’Italicum nelle varie forme, avrebbe aggravato la situazione. Messe insieme l’abolizione del Senato elettivo e la legge elettorale, il progetto del governo raccontava una vera una vera e propria strategia di “semplificazione” del sistema, ispirata all’idea del capo unico, del partito unico, del pensiero unico.
Un anno dopo quel nostro allarme, possiamo dire che non siamo più soli: parole assai più gravi che non il nostro “verso la svolta autoritaria” ricorrono nei giudizi di una parte del mondo politico, piccola parte, “dissidenti” sparsi. Il premier invece afferma, come sempre, che la critica è volontà di bloccare il sistema, da parte dei soliti gufi che amano il solito pantano. La propaganda è martellante e così sarà fino al giorno del referendum.
Ma mi pare che stia crescendo la consapevolezza che mai prima di oggi sarebbe stato possibile prevedere attacchi così definitivi e cruenti a un sistema che, pur con tante attrazioni devianti, aveva retto agli assalti. Nessuno poteva prevedere che, nell’indifferenza generale, riforme come queste sarebbero state imposte a suon di ricatto (lo scioglimento delle Camere) da un governo il cui presidente non è stato eletto, a un Parlamento a metà delegittimato dalla Corte Costituzionale (e per un popolo  intero che mai lo ha conosciuto e votato tra i programmi elettorali); no, nessuno veramente poteva pensare che avrebbero osato tanto.
Pare invece che il colpo di mano sta riuscendo. E già si sgretolano, con i muri portanti, anche i diritti e le garanzie. Quando Renzi e la Boschi dicono: sono anni che se ne parla e noi finalmente abbiamo fatto, sanno di mentire: non di questo si parlava, ma di singole modifiche per semplificare il bicameralismo perfetto, pesi e contrappesi ben rispettati. Mentono: questa riforma rottama la Costituzione tutta, e insieme ad essa le radici del nostro popolo.
A beneficio di chi e di che cosa?
Invece di rottamare il passato la politica renziana appare oggi preoccupata di rottamare il presente e il futuro degli italiani, i quali, come capita ad ogni nazione quando perde la bussola, non si “riconoscono”più, non conoscono la terra che calpestano ogni giorno, la loro terra. Nella tragica sfida contro la povertà, una Repubblica fondata sul lavoro apparirà presto antica come le favole raccontate una sera d’inverno e la dignità dei cittadini una sorta di inutile raccomandazione.
Così le certezze degli antichi principi si appannano, e la nebbia crea attorno al capo e ai suoi uomini e donne uno schermo protettivo che soltanto le vecchie Cassandre oggi riconoscono bene. A parere di una modesta cronista della politica italiana dagli anni settanta ad oggi, il nostro Paese non ha mai passato una fase così densa di insidie, di accordi e di obiettivi senza trasparenza alcuna.
Ma non c’è mai niente di nuovo sotto il sole.
Nel novembre del 1942 una relazione della Direzione Britannica dell’Istruzione Militare osservava che “la ragione principale per cui siamo gravemente svantaggiati rispetto ai nazisti sulla questione delle “grandi idee” è il fatto che le cose malvagie per cui loro parteggiano sono nuove e dinamiche, mentre le cose eccellenti per cui vogliamo combattere noi possono sembrare noiose e banali”. E questo non è un paragone fra Renzi e i nazisti, sia ben chiaro. Ma è il ripescare nelle radici ragioni di cautela e di equilibrio, l’invito a pensare al futuro in cui tutta la sfida non sarà soltanto sulla rapidità delle decisioni, ma sulla qualità di esse. Chiunque vinca.
La Costituzione non può essere una questione di amor proprio, di orizzonti brevi, di obbedienza a quella Finanza pronta a pretendere qualcosa in cambio e che da sempre pretende Costituzioni meno democratiche.
Ho ascoltato qualche giorno fa il presidente del Consiglio fare la storia di questi ultimi anni alla direzione del Pd. “C’è stato un momento in cui il governo precedente non riusciva ad andare avanti sulle riforme”, si era impantanato sulla questione del sì o no all’articolo 138 e “non riusciva ad andare avanti”. Da qui è partito il compito di Renzi, dare la possibilità ai governi di “decidere”, contro ogni forma di “anarchia”.
Rottamate dunque le radici e ricondotte dal premier a qualche sporadica citazione estrapolata dai vari contesti, ora il campo potrebbe essere spianato nel profondo silenzio della maggior parte dell’informazione: non ho mai visto una situazione tanto preoccupante di adesione acritica al pensiero unico e anche la riforma della Rai si muove in questa direzione. Rileggo spesso una pagina stupenda di Piero Calamandrei sulla “vallisneria” , una pianticella che vive negli stagni e che d’inverno sta “giù nella melma. Ma quando viene la primavera, quando attraverso le acque queste radici che sono in fondo si accorgono che è tornata la primavera,da ognuna di queste pianticelle comincia a svolgersi uno stelo a spirale, che pian piano si snoda, si allunga finche arriva alla superficie dello stagno, e insieme ad essa altre cento pianticelle e anche esse in cerca di sole, e quando arriva su, ognuna fiorisce e in pochi giorni la superficie dello stagno, che era cupa e buia, appare coperta da tutta una fioritura, come un prato”.
A questo concludeva Calamandrei, deve servire la democrazia: permettere a ognuno di avere la sua parte di sole e di dignità. E noi, piccoli piccoli, cercheremo di lavorare con tanti altri fin quando lo stagno sarà tutto un fiore.

Da libertaegiustizia.it


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