Forse c’è finalmente qualche novità nel caso Alpi-Hovratin e tutto nasce dalle accuse che il somalo Ahmed Ali Rage ha detto alla trasmissione di Rai tre Chi l’ha visto? il febbraio scorso accusando il connazionale Hashi Omar Assan di aver fatto parte del gruppo di fuoco autore dell’agguato. E di aver mentito in cambio di denaro. La procura della repubblica romana ha confrontato il cartellino segnaletico con i fotogrammi dell’uomo che ha testimoniato in televisione e i dati corrispondono. A unire ancora una volta i nuovi mezzi di comunicazione con un enigma giudiziario che si trascina da ventuno anni. E’ lui, Ahmed Ali Rage detto Jelle e corrisponde al somalo intervistato da Chiara Cazzaniga per la trasmissione di Raitre. La procura di Roma ha ricevuto qualche giorno fa la prima risposta dai periti che hanno comparato la foto del cartellino segnaletico con i foto grammi del servizio andato in onda il febbraio scorso in cui Jelle affermava di aver testimoniato il falso in cambio di denaro e di un visto per l’Italia. E i magistrati romani hanno inviato nei giorni scorsi la rogatoria internazionale per il Regno Unito, fascicolo che ora è in mano del ministro della Giustizia Orlando.
Può essere la testimonianza fondamentale per vedere la verità nell’omicidio dei due giornalisti uccisi da un commando di sette persone il 20 marzo del 1994 mentre in Italia si combatteva la campagna elettorale che avrebbe deciso la vittoria di Silvio Berlusconi nelle elezioni politiche generali. Il 10 ottobre 1997 l’ambasciatore Giuseppe Cassini- inviato nel corno d’Africa dall’allora vice-presidente del Consiglio Walter Veltroni-portò in Italia il somalo Ahmed Ali Rage che, interrogato dalla Digos di Roma prima e poi dal pubblico ministero Franco Ionta accusò già allora Hashi Omar Assan di aver fatto parte del gruppo di fuoco autore dell’agguato. Il testimone somalo-gestito direttamente dal Viminale-lasciò il nostro Paese poco prima della fine dell’anno, sparendo prima dell’arrivo in Italia dell’uomo che aveva accusato. Hashi Omar Assan il 12 gennaio viene arrestato con l’accusa di omicidio, ma Jelle non deporrà mai davanti ai giudici diventando irreperibile con una fuga troppo organizzata per essere spontanea. La notizia si diffonde rapidamente anche sui canali televisivi internazionali e il somalo decide di chiamare un giornalista somalo della BBC, Sabrie, e di raccontare di aver mentito in cambio di soldi.
Soltanto qualche anno dopo, la procura di Roma aprirà un fascicolo per calunnia nei suoi confronti che si chiude nel 2011 con l’assoluzione: non era stato possibile verificare la sua identità, non esistendo nessuna deposizione registrata per comparare la sua voce. Ogni tentativo di compiuto dal 2007 era stato inutile. Finalmente attraverso un’intervista fatta alla moglie di Jelle a Birbingham, nel marzo 2014, riescono a prendere un primo contatto, poi lo scorso febbraio ci pensa la redazione di Chi l’ha visto. L’immagine di Jelle già a prima vista appare sostanzialmente identica a quella ritratta nei cartellini segnaletici conservati negli archivi della procura di Roma e le sue parole confermano, punto per punto, quello che aveva già raccontato per telefono nel 2002: la sua testimonianza del ’94 era falsa, non aveva assistito all’agguato, Hashi non c’entra nulla e qualcuno lo aveva convinto a mentire promettendo soldi e un visto per l’Italia. La sua testimonianza potrà portare ora alla revisione del processo nei confronti di Hashi Omar Hassan, detenuto a Padova da sedici anni. Ma soprattutto potrebbe essere la chiave di svolta per identificare chi ha manipolato la sua versione, lo ha pagato per dire il falso e chi lo ha aiutato a fuggire dall’Italia prima di testimoniare davanti ai giudici. E questo sembra il modo più dritto per arrivare a scoprire quello che sembra sempre di più un intrigo in cui sono in mezzo servizi segreti, governi e Stati diversi.