L’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale è stata giudicata da larga parte dell’informazione ” il capolavoro” di Matteo Renzi . Un’analisi condivisibile, se la si considera un singolo episodio , concluso il quale le strade dell’ eletto e dell’ elettore sono destinate a dividersi .
Invece, almeno per questa legislatura , i due cammineranno fianco a fianco , e all’uno – il capo dello Stato-, spetterà di vigilare sugli atti e sulle decisioni dell’altro .Ovviamente sotto il profilo dell’ortodossia costituzionale .
Sarebbe stato un vero capolavoro ( in senso soggettivo) , per il capo del governo , portare al Quirinale uno dei nomi verosimilmente promananti dal circolo renziano : nomi estratti da improbabili cilindri e già privi di fiato alle prime eliminatorie, quelle del buon senso. Così che sul filo di lana si sono trovati fianco a fianco due candidati , entrambi molto alti per profilo , ed entrambi assai distanti dal premier per radici istituzionali e per cultura politica , per carattere , personalità , spessore , curriculum , appartenenza generazionale . Assai difficile , con entrambi , produrre quel tipo di capolavoro con la garanzia che duri nel tempo .
Questa distanza è potenzialmente non dissimile da quella che ha fatto spirare un ‘ estraneità fredda per tutta la cosiddetta seconda repubblica , e che ha segnato i rapporti tra l’intermittente capo dei governi di centro destra e i tre consecutivi capi dello stato : estraneità strumentalmente attribuita , con superficiale automatismo e scarso riguardo nei confronti della terzietà di questi ultimi , alla diversa origine politica .
Amplissima, questa distanza ha pur consentito a Matteo Renzi una buona convivenza con il predecessore di Mattarella , contestualmente facendo intuire possibili incomprensioni tra i due , non contingenti . Per volontà del presidente Napolitano , il ministro degli esteri in carica è figura sì vicina al capo del governo, ma difficilmente assimilabile al prototipo del ministro renziano : giovane e inesperto , quest’ultimo , quindi poco attrezzato per contrasti con il leader ; preferibilmente di genere femminile , pertanto portato , per l’inversione dei tradizionali canoni italiani di scelta , ad una tendenziale gratitudine ; meglio se privo di precedenti vincoli politici più intense di mere infatuazioni ; disponibile a larghe cessioni di sovranità del proprio territorio. Qualche frizione si è anche immaginata all’atto della ascesa a palazzo Chigi dell’attuale inquilino , avvenuta non proprio all’insegna delle buona maniere , con scortesia peraltro restituita dall’uscente in un raggelante scambio di consegne . Il rapporto tra Giorgio Napolitano e Matteo Renzi è , comunque , filato via in un continuo adattamento , agevolato dal ricordo delle precedenti convivenze , e da un rigore che, via via che si avvicinava la fine irrevocabile del mandato , si faceva meno acuto .
E oggi , e per i prossimi anni?
Oggi il quadro mostra un capo del governo che si sente politicamente padre del capo dello stato ,e un capo dello Stato con il serbatoio delle energie ancora intatto , e con una fisionomia moderata assai più sotto il profilo politico che non sotto quello istituzionale .
Sarà una lunga convivenza lunga ,si diceva. Rispetto alla quale non si deve cadere nell’errore , frequente , di interpretare eventuali incomprensioni con la chiave suggestiva del ” duello” tra la massima autorità di garanzia e il capo del governo. Quel ruolo di garante , infatti ,non si esaurisce nel rapporto con l’esecutivo e con la guida dello stesso , per essendo costituito da tipici atti di controllo e dal possibile ricorso ai modi della persuasione morale : ma è altrettanto doveroso e intenso nei confronti di altri soggetti istituzionali -come le camere , le minoranze, le magistrature-, così da costituire un momento di altissima sintesi dell’equilibrio costituzionale .
Un rigoroso controllo degli atti del governo rivolti alla camere – decreti legge o legislativi ,disegni di legge , per esemplificare -, è l’altra faccia della tutela dei diritti del parlamento , senza contrappunti in termini di ostilità istituzionale tra capo dello Stato e capo del Governo . E’ già evidente , agli occhi attenti alle relazioni costituzionali , che non vi saranno in questo settennato , casi di decretazione d’urgenza in cui la necessità e l’urgenza rispondano ad esigenze soggettive del capo del governo anziché a situazioni oggettive e concrete; né violazione di limiti nelle deleghe legislative ,che devono contenere criteri non travisabili , o disinteresse della volontà espressa dalle camere nei decreti delegati , da emanarsi dal governo nel rispetto della volontà delle camere . Né vi saranno forzature legislative sul numero dei dicasteri e sulla composizione del governo , e così via.
E’probabile ,contestualmente , che il rapporto del Quirinale con palazzo Chigi tenda a conciliare il sacrosanto attivismo decisionale del capo del governo con il ripristino , non solo con il rispetto , delle corrette prerogative parlamentari e delle procedure legislative , specie quelle scritte in costituzione; recando così un duplice profitto , per le singole istituzioni e per la complessiva armonia costituzionale.
Un rapporto da seguire con attenzione , ma anche verosimilmente con fiducia.