L’uccisione del giornalista Oles Buzina (nella foto), avvenuta la settimana scorsa nella capitale Kiev, ci dice quanto il cessate-il-fuoco risparmi le popolazioni civili da attacchi indiscriminati ma non protegga singole persone, prese di mira a causa delle loro posizioni. Buzina, 45 anni, noto per le sue opinioni pro-Russia, è stato colpito da aggressori col volto coperto che gli hanno sparato da un’auto in corsa.
La sua è stata solo l’ultima di una serie di morti sospette di ex alleati dell’ex presidente Viktor Janukovič. Dall’inizio dell’anno sono stati uccisi l’oppositore politico Oleg Kalašnikov, l’ex governatore regionale Oleksandr Peklušenko e l’ex parlamentare Stanislav Melnik,
Ci sono poi i misteriosi “suicidi” di Mihailo Čečtov,l’ex vicepresidente del Partito delle regioni di Janukovič, precipitato da una finestra del suo appartamento al 17° piano, di Serhij Valter, sindaco di Melitopol, di Okeksij Kolesnik, ex capo del governo regionale di Harkiv, e di Oleksandr Bordiuh, ex vicecapo della polizia di Melitopol, è stato trovato privo di vita nella sua abitazione.
In assenza di indagini credibili e considerata la rapida successione delle morti nel più ampio contesto dell’attuale clima politico in Ucraina, non si può escludere la motivazione politica, tanto degli omicidi quanto dei presunti suicidi. Ma per mano di chi?
Sappiamo che politici dell’opposizione subiscono violenze, spesso effettuate da gruppi o singoli individui vicini alla destra. Ma occorrono indagini immediate, imparziali ed efficaci per affrontare il problema della diffusa impunità per gravi violazioni dei diritti umani.
Al tempo stesso, esponenti del mondo dell’informazione subiscono vessazioni da parte delle autorità. Tra loro, il giornalista e famoso blogger Ruslan Kotsaba, recentemente dichiarato prigioniero di coscienza da Amnesty International, il primo dopo cinque anni. Rischia più di 10 anni di carcere con l’accusa di “alto tradimento” e per le sue opinioni sul conflitto nell’Ucraina orientale.
Ruslan Kotsaba è stato arrestato il 7 febbraio a Ivano-Frankivs’k, una città a 130 chilometri a sudest di Leopoli, dopo aver pubblicato su internet un video che descriveva il conflitto come “la guerra civile fratricida del Donbass”. Si era anche dichiarato contrario alla leva militare di ucraini per partecipare al conflitto.
Il 31 marzo è stato formalmente incriminato per “alto tradimento” e rischia fino a 15 anni di carcere, oltre a ulteriori otto anni per l’accusa di “ostacolare le attività legittime delle forze armate”. Amnesty International ha chiesto il suo rilascio immediato e incondizionato e considera il trattamento inflittogli come una sfacciata limitazione al diritto alla libertà di espressione. La libertà di esercitare pacificamente quel diritto era uno dei principali slogan dei manifestanti di EuroMaydan.
Negare ora lo stesso diritto agli alleati di Janukovič e ad altri membri dell’opposizione – con la prigione, la morte o la mancanza di un’indagine effettiva – sarebbe il colmo dell’ipocrisia. Ed è anche un tradimento dei diritti umani, che devono essere tutelati nei confronti di chiunque, indipendentemente dalle sue opinioni politiche.
Occorrono indagini immediate, imparziali ed efficaci. Se l’Ucraina intende iniziare ad affrontare il problema della diffusa impunità per gravi violazioni dei diritti umani, tutte quelle indagini devono essere credibili.