Mancano circa due mesi alle elezioni parlamentari in Turchia (7 giugno). Dopo 12 anni di governo Erdogan, il paese è chiamato ad una scelta storica: proseguire con la politica di accentramento portata avanti dal primo ministro in carica, o provare a ripartire da zero, cercando di superare gli attriti che frammentano l’opposizione in tanti, piccoli gruppi isolati. Nei prossimi due mesi qualsiasi scelta o dichiarazione dovrà essere soppesata con inedita attenzione. Le ultime settimane sono state caratterizzate da una catena di eventi ulteriormente destabilizzanti per il già fragile equilibrio del paese. Il sequestro con annesso omicidio del magistrato Mehmet Selim Kiraz, la nona vittima associabile alle proteste di Gezi Park; l’irruzione di un manifestante armato all’interno della sede dell’Akp; il peggior blackout dell’ultimo ventennio e l’uccisione di una donna-kamikaze che aveva minacciato di farsi esplodere. Come prevedibile, il clima è particolarmente incandescente: il presidente Erdogan sta gestendo la situazione con il solito piglio autoritario, mentre giornalisti e blogger hanno sempre maggiori difficoltà nell’esprimere liberamente il proprio pensiero.
Il 27 marzo è stata infatti approvata una “legge bavaglio” che consente al governo di chiudere o negare l’accesso ad un sito internet per “difendere il diritto alla vita, la proprietà, garantire la sicurezza nazionale e l’ordine pubblico, prevenire reati o proteggere la salute pubblica”. La norma assomiglia molto a quel dispositivo che, votato dal parlamento in settembre, avrebbe attribuito le stesse prerogative all’autorità governativa per monitorare l’operato delle telecomunicazioni (dispositivo annullato dalla consulta in quanto incostituzionale). Laddove il web diviene un luogo di sempre minor sicurezza, la carta stampata non naviga certo in acque migliori. Aver pubblicato la foto ritraente il giudice con pistola alla tempia è costata un’inchiesta legale all’ Hurriyet, al Cumhuriyet, al Bugun e al Posta, 4 giornali che, indipendentemente dallo schieramento politico, non avevano mai simpatizzato per il governo Erdogan.
Da qui al 7 giugno, Reccep Tayyip Erdogan spera di ottenere una maggioranza tale da poter metter mano alla costituzione. Dopo 12 anni di accentramento del potere personale, la prospettiva di un pacchetto di riforme costituzionali potrebbe rappresentare un ulteriore limitazione ai diritti fondamentali dei cittadini turchi. Il futuro della Turchia dipende dalla capacità dei partiti minori di appianare le reciproche divergenze e trovare un candidato capace di sopperire alle molteplici divergenze, magari partendo proprio da una rigorosa battaglia per il ripristino di quelle libertà da troppo tempo negate ai cittadini.