«Più che un momento di riflessione sugli enormi squilibri alimentari presenti nel mondo, l’Expo rischia di essere una grande abbuffata». È una critica che forse non suonerà nuovissima, quella rivolta all’esposizione universale che si apre a Milano tra pochi giorni; ma se a farla è un docente universitario, esperto di tematiche agroalimentari, allora può risultare assai significativa. Andrea Segrè (nella foto) professore di politica agraria dell’Università di Bologna, ha partecipato, sabato 18 aprile, a Educa, il Festival dell’Educazione che si è svolto a Rovereto, in provincia di Trento. «Mi fa piacere essere qui – ha esordito Segrè – perché il problema di cui mi occupo, quello dello spreco del cibo, è innanzitutto un problema di cattiva educazione». Ma inevitabilmente, nel corso del dibattito, si è arrivati a parlare di Expo. «Va innanzitutto detto che il modello di sviluppo di cui Expo è espressione è un modello superato, ormai insostenibile. Certo, l’idea portante di “Nutrire il pianeta” individua senz’altro un problema che è doveroso affrontare. Non mi sembra tuttavia che sia questa la preoccupazione principale degli organizzatori».
Prima di affrontare i temi legati a Expo, però, Segrè ha raccontato la preziosa esperienza di “Last Minute Market”, una società spin-off dell’ateneo bolognese, nata sotto l’iniziativa dello stesso Segrè, che si occupa di recuperare e riutilizzare i beni alimentari invenduti nei supermercati: prodotti prossimi alla scadenza, o resi poco attraenti a causa di imperfezioni estetiche, che vengono raccolti e distribuiti nei circuiti della solidarietà, dalle mense dei poveri alle cucine degli ospedali. Si tratta di un sistema elaborato con l’obiettivo di mostrare come quello che viene considerato uno scarto alimentare non sia, in effetti, necessariamente un rifiuto, ma possa invece trasformarsi in una risorsa. C’è però dell’altro. «Dimenticare il valore del cibo, e quindi i valori che il cibo porta con sé, significa dimenticare i valori sociali più profondi», ha spiegato Segrè, che nel suo ultimo libro edito da Einaudi, L’oro nel piatto, denuncia come proprio noi Italiani, che facciamo del nostro straordinario patrimonio agroalimentare un motivo di identità culturale, abbiamo in realtà un pessimo rapporto col cibo.
Del resto, l’esasperarsi del problema connesso allo spreco dei prodotti commestibili è emblematico della crisi, non solo economica, che sta vivendo la società attuale: è un fenomeno che dimostra infatti il cortocircuito avvenuto nella logica del produrre-consumare-gettare. E i dati citati da Segrè dimostrano i paradossi della nostra realtà contemporanea: lo spreco alimentare vale oggi 8 miliardi di euro all’anno, mentre ci sono 10 milioni di italiani in condizione di povertà relativa, e 4 milioni in povertà assoluta. «Quello che però colpisce – ha proseguito Segrè – è che al diminuire del reddito pro-capite, la percentuale della spesa alimentare delle famiglie non aumenta affatto: è la dimostrazione che spesso ad un bene necessario come il cibo si preferiscono beni molto più superflui».
Quanto alla qualità dei prodotti che mangiamo, Segrè ha ribadito con forza l’importanza di una corretta educazione sia tra i giovani che tra gli adulti. Nel corso del dibattito è emerso come, nonostante gli indubbi condizionamenti esercitati dalla pubblicità, i consumatori, se resi più consapevoli, possono costringere l’industria alimentare a produrre cibi più genuini. Ma, anche in questo caso, è indispensabile un cambio radicale di prospettiva: «Bisogna passare – ha affermato Segrè – dal concetto del consumare, termine che trasmette inevitabilmente l’idea di distruggere, a quello di fruire, che consiste non soltanto nel comprare un prodotto, ma nel goderne in maniera sana».