E’ la memoria la principale fonte del genere umano per guardare avanti e costruire il futuro senza ripetere gli orrori del passato. Se si uccide la memoria o la si manipola, come il “Grande fratello” in 1984 di Orwell, o la si nega in parte, ecco allora che oltre ai danni subiti da intere popolazioni si afferma anche il dominio storico e culturale delle ragioni degli aguzzini. Il 24 aprile nella capitale dell’Armenia ex-sovietica, Erevan, si celebra con solennità il Centenario dello “Medz Yeghern , ovvero il “grande crimine” che ebbe inizio appunto il 24 aprile del 1915 e si perpetrò fino al 1916 con il massacro scientifico della popolazione cristiana (siro cattolici, siro ortodossi, assiri, caldei e greci), ma soprattutto 1,5 milioni di armeni su una popolazione allora stimata di 2 milioni (alcuni avevano fatto in tempo a rifugiarsi nel neonato stato sovietico confinante e altri erano fuggiti in Europa e poi in America). Allo sterminio presero parte, secondo documenti storici, anche ufficiali dell’Impero prussiano, alleato della Turchia nella prima guerra mondiale, come confermano oggi anche le massime autorità di Berlino.
Il primo a parlare di questo “genocidio” (già iniziato tra il 1894 e il 1896, sotto Abdul Hamid, il “sultano rosso”, con l’uccisione di 300 mila armeni, cui seguirono per decenni altri massacri) fu l’ambasciatore degli Stati Uniti Henry Morgenthau. Ma dovettero passare 70 anni perché la comunità internazionale lo riconoscesse, nel 1985, con una delibera della Sottocommissione dei diritti umani dell’Onu, e poi nel 1987 dal Parlamento europeo. Condanna che ancora di recente l’Europarlamento ha ribadito con una risoluzione del 16 aprile, nella quale s’invitano “l’Armenia e la Turchia ad utilizzare il centenario del genocidio armeno per rinnovare le relazioni diplomatiche, aprire i confini e spianare la strada per l’integrazione economica”. I deputati europei hanno anche sottolineato la necessità che la Turchia riconosca “il genocidio armeno”. Questo gesto favorirebbe “una genuina riconciliazione”. Un’altra risoluzione ha lodato la dichiarazione del Papa Francesco del 12 aprile in ricordo del centenario del genocidio.
I Paesi che riconoscono oggi il genocidio sono davvero pochi, tra questi, oltre all’Italia (risoluzione votata dalla Camera nel novembre 2000): la Francia (dove vive la comunità armena più numerosa di 350mila persone ed è stato introdotto il reato di “negazionismo” come per la Shoah), l’Armenia, Russia, Svizzera, Finlandia, Svezia, Slovacchia, Grecia, Olanda, Polonia, Lituania, Cipro, Canada, Venezuela, Argentina, Cile, Uruguay, Vaticano, Libano e Bolivia. Il Congresso degli USA approvò nel marzo 2010 una risoluzione che chiedeva al presidente Obama il riconoscimento di tale tragedia, il quale però deve essersi dimenticato di quanto promesso durante la sua campagna elettorale nel 2008, quando prometteva il riconoscimento ufficiale del “genocidio armeno”. Pochi giorni fa, nel saluto inviato agli Armeni per il centenario, ha invece optato per parole più diplomatiche pur di non offendere la Turchia “alleato privilegiato” e il suo presidente conservatore Erdogan, quello stesso che ha fustigato il discorso di Papa Francesco in memoria del genocidio e che si è detto pronto ad espellere gli ultimi 100 mila armeni ancora rimasti sul suolo turco. Quello stesso Erdogan, che per il 99esimo anniversario del genocidio, aveva fatto le condoglianze ai nipoti di coloro erano stati sterminati.
Questo 24 aprile a Erevan ha brillato per la sua assenza proprio l’americano Obama, che aveva mesi fa promesso la sua presenza, mentre erano presenti il francese Hollande e il russo Putin. Tra le assenze che pesano, anche quelle del Presidente della Repubblica italiana, Mattarella, e del capo del governo, Renzi, il quale non ha mai parlato ufficialmente di genocidio, così come alcuni esponenti del suo governo, evidentemente troppo presi dalle fumisterie degli interessi geopolitici verso Ankara, nonostante tanto le risoluzioni dei Parlamento italiano ed europeo. Dopo gli attacchi virulenti delle massime autorità turche a Papa Francesco, ci si aspettava una risposta a parole e nei fatti molto più appropriata da parte del governo Renzi, in difesa del Pontefice e contro gli insulti di Ankara, visto il “grido di dolore” che si è alzato dalla “capitale della Cristianità” e che, oggi, i cristiani sono continuamente vittime del fanatismo religioso da parte degli integralisti islamici.
Davvero un comportamento da “ignavi”, dopo che anche altri Stati hanno iniziato a parlare apertamente e ufficialmente di genocidio!
Diversamente da noi, invece, si sono comportati i tedeschi, nonostante abbiano sul loro territorio 4 milioni di abitanti di origine turca. “Oggi la Germania considera il massacro di cento anni fa come un genocidio”, ha dichiarato Angela Merkel: ed è stata la prima volta nella storia del paese che aveva già fatto mea culpa per l’Olocausto. La Merkel lo ha detto al telefono al premier turco Ahmet Davutoglu. Ancora oltre si è spinto il Presidente della Repubblica, Joachim Gauck, il 23 aprile scorso, quando ha riconosciuto non solo il genocidio ma ha anche sottolineato la “corresponsabilità” tedesca. “Dobbiamo indagare nella nostra memoria”, ha detto Gauck, durante la cerimonia religiosa della comunità armena a Berlino per commemorare il centenario. E in merito ai consiglieri tedeschi che all’epoca aiutarono a pianificare le deportazioni, ha affermato: “La Germania ha avuto una responsabilità condivisa, forse anche una colpa condivisa, per il genocidio degli Armeni”. Il Bundestag, il Parlamento tedesco, sta per approvare una risoluzione che riconosce il genocidio e lo stesso farà il Parlamento austriaco, ex-alleato dell’Impero ottomano nella Grande guerra. Mentre in Israele si commemora l’evento e in Francia la comunità ebraica ha dedicato diverse iniziative e mostre sul tema a Parigi, così come il Comune, che ha aperto una grande mostra nel suo storico palazzo sulla Senna.
Non è casuale che nel giorno della memoria della Shoah il presidente armeno Serzh Sargsyan abbia indirizzato alla comunità ebraica mondiale un discorso, dicendo che: “E’ verità incontestabile che relegare le vittime di genocidi all’oblio e al negazionismo, soprattutto se di Stato, rappresenti un altro passo dello stesso crimine. E si tratta di un doppio crimine perché viene commesso non solo contro delle vittime innocenti ma anche contro il nostro presente ed il nostro futuro”.
La memoria storica a volte fa fatica a diventare anche “memoria ufficiale” degli stati. E’ già capitato con la Shoah ebraica, e stenta ad affermarsi per altri genocidi di comunità umane, diverse per religione, cultura e “radici razziali” in varie parti del mondo (si pensi alle stragi di milioni di persone nelle guerre civili intestine in Africa tra gli Hutu e i Tutsi, in Darfur, nel Sudan o in Cambogia ad opera dei Khmer rossi). A volte, le resistenze sono dovute alle “opportunità diplomatiche”, agli interessi economici, alla geopolitica.
La strage degli Armeni fu una specie di “prova generale” delle tecniche di sterminio, poi attuate dai nazisti, cui si ispirò lo stesso Hitler. Da allora, nei libri di storia turchi è scritto solo di massacri di turchi ad opera degli armeni e ancora oggi parlare della strage degli armeni equivale ad un “insulto all’identità turca”, secondo l’articolo 301 del codice penale turco. Si può essere incarcerati, perseguitati, come lo scrittore Premio Nobel Orhan Pamuk, o addirittura uccisi, come successe il 19 gennaio del 2007, al giornalista armeno Hrant Dink, fondatore della rivista bilingue turco-armena Agos, assassinato a Istanbul per aver parlato del genocidio.
Ma perché la Turchia non vuole ancora riconoscere il genocidio armeno? La risposta l’ha data uno storico turco, Taner Akçam: “è il nazionalismo della Turchia a non permetterle di riconoscere il proprio passato. La Turchia di oggi, quella rifondata da Kemal Ataturk, non può e non vuole riconoscere che la fondazione del proprio stato sia sporcata da una così grande macchia di sangue. Ataturk è stato il primo negazionista: ha “salvato” molti responsabili dell’eccidio e lo ha cancellato dai libri di scuola, ha riscritto la storia. I turchi oggi imparano che sono stati gli armeni a massacrare i loro antenati”.
Come a suo tempo, dopo l’11 settembre del 2001, ci sentimmo tutti “americani”, come ci siamo sentiti anche tutti “birmani e buddisti”, o “Charlie Hebdo e tunisini”, adesso è ora di sentirci tutti “armeni” e di fissare per il 24 aprile in Europa la Giornata della memoria del genocidio armeno, come quella del 27 gennaio per la Shoah ebraica.