Ha ragione Alfredo Reichlin a protestare quando Renzi Matteo cita il suo “partito della nazione” e si appropria di una proposta politica e culturale lontana le mille miglia dall’agire del premier e segretario del Pd. Dice Reichlin che il partito che per definizione è “parte”, a fronte di una situazione economica e sociale molto grave come quella che stiamo vivendo in Italia e in Europa, “deve porsi come garante non solo di una parte ma del sistema democratico (moralità, lavoro, coesione sociale)”. E parla di una “forza popolare che non ha padroni ma, in compenso, ha una idea forte dell`Italia”. “È qui – dice -che si ritrova la ragione fondante del partito democratico. Un partito che non ha nulla a che vedere con una forza personalista e autoritaria.” Si tranquillizzi Reichlin, uno dei più autorevoli dirigenti dell’allora Pci, non avrà più ragione di dover spiegare ogni volta il senso del suo “partito della nazione”.
Il partito della nazione si trasforma in PNR e svela il suo volto
Renzi Matteo, di fatto, ha chiarito, il suo “partito della nazione”, si trasforma in un sol colpo in partito nazional renziano, Pnr. Lo dicono i fatti, gli ultimi convulsi avvenimenti, il voto di fiducia sulla legge elettorale riporta il nostro paese indietro di ottanta anni. A quel 1923, l’anno del fascismo che aveva bisogno di consolidarsi, di eliminare ogni libertà, per la precisione il 18 novembre quando il Parlamento, con un voto di fiducia, approva la legge che porta la firma di Giacomo Acerbo, deputato fascista nel 1921, che dopo la marcia su Roma divenne sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Scrive il testo della legge sotto dettatura di Mussolini. La legge del 1919, dopo la prima guerra mondiale, aveva esteso il diritto di voto a tutti i cittadini maschi maggiori di 21 anni. Una legge proporzionale con un cambiamento radicale delle regole del gioco. I risultati delle elezioni del 1919 avevano visto la vittoria del Partito socialista italiano con 156 deputati, undici partiti avevano conquistato seggi. Due anni dopo i partiti erano diventati quattordici, nessuno raggiungeva il 25 %.
Mussolini aveva bisogno di un Parlamento a sua immagine e somiglianza
Mussolini aveva assoluto bisogno di un Parlamento obbediente. Acerbo introdusse due modifiche sostanziali: un premio di maggioranza che assegnava al partito che superava il 25% i due terzi dei deputati. Il conteggio avveniva su collegio unico nazionale, che attribuiva 356 deputati con il sistema maggioritario al vincitore. I restanti 79 venivano assegnati con il sistema proporzionale. La storia degli anni della dittatura fascista parla di brogli, abusi, violenze, cittadini ai quali veniva impedito di votare, si mandavano in galera per qualche giorno con accuse di fantasia, si intimidivano annunciando violenze contro i familiari, donne in particolare, presi di mira. Fra coloro che si battevano contro questa “legge truffa” Giacomo Matteotti, deputato socialista. Il 30 maggio del 1924 in un famoso discorso la denuncia si fa appassionata, le minacce più volte ricevute non lo fermano.
L’uccisione di Giacomo Matteotti, un delitto della polizia fascista
Per un anno, Matteotti, instancabile, porta avanti una campagna a tutto campo. C’è solo un modo per fermarlo. Il 10 giugno del 1924, poco dopo le quattro del pomeriggio, si sta recando a Montecitorio, passando dal LungoTevere Romano. Lo avvicina un’auto con a bordo: Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo, tutti membri della polizia politica fascista. Lo aggrediscono, dopo una lunga colluttazione, pestato a sangue, lo caricano in macchina, viene accoltellato sotto l’ascella e al torace da Giuseppe Viola, il suo corpo portato sulla via Flaminia e seppellito lontano dal centro della capitale. Verrà ritrovato solo il 16 agosto dello stesso anno. Passano gli anni, nel 1946 le prime votazioni dell’Italia libera, partecipano anche le donne. La legge Acerbo viene cancellata, si vota con il proporzionale ma a qualcuno resta la nostalgia di una bella legge truffa. La prima legislatura ci consegna l’avvicendarsi di tre governi guidati da De Gasperi, coinvolti i partiti moderati a fianco della Democrazia Cristiana. La maggioranza era forte numericamente ma instabile politicamente.
Nasce la seconda legge truffa con voto di fiducia. La presenta il ministro di polizia
Che fare? A qualcuno venne a mente la legge Acerbo. Bisognava renderla più domestica. Nacque così la seconda legge truffa presentata da Mario Scelba, il ministro dell’Interno, meglio noto come ministro di polizia, responsabile di gravissimi episodi con la polizia protagonista di tanti episodi di violenza per impedire manifestazioni democratiche. Il partito o la coalizione (si faccia attenzione a questo passaggio, ndr), questo il succo della legge, che avesse ottenuto il 50% più uno dei voti avrebbe ottenuto il 65% degli scranni parlamentari. L’opposizione non lasciò niente di intentato, il ricordo della legge Acerbo era ancora molto vivo. Il Pci si impegnò a fondo. Manifestazioni promosse dalle forze di sinistra e non solo, in tutto il Paese con Scelba che scatenava la repressione. La discussione alla Camera fu lunghissima, dall’inizio di dicembre 1952 al 21 gennaio 1953. Niente interruzioni, neppure per Natale.
De Gasperi annuncia la fiducia. Sarà punito dal risultato elettorale. Il “premio” non scattò
Finché De Gasperi annunciò che il governo aveva deciso di porre la questione di fiducia sulla parte non ancora esaminata, procedura che venne fortemente contestata. Le dichiarazioni di voto iniziarono il 18 gennaio e si conclusero tre giorni dopo, mentre dentro e fuori Montecitorio la protesta aumentava. Alle 7 e 45 del 21 gennaio va in scena la fiducia. L’opposizione lasciò l’aula e la legge passò al Senato dove si votò, ancora una volta, con la questione di fiducia posta. Il Presidente della Repubblica firmò la riforma elettorale e sciolse le Camere. Ma i risultati del voto non furono quelli previsti dalla Dc. Il “premio” non scattò. La coalizione a guida Democrazia cristiana ottenne il 49,8% dei voti, pochi in meno dei necessari per realizzare lo scenario previsto dalla legge. Un bel po’ di elettori l’abbandonarono. Le opposizioni a sinistra e anche a destra aumentarono il loro elettorato. De Gasperi, comunque, provò a formare il nuovo governo, un monocolore democristiano. Non ci riuscì, il fallimento della legge truffa si fece sentire. Arrivò il governo di Giuseppe Pella. La “legge truffa” fu abrogata nel 1954. A volte, come si dice, la storia ritorna. Ma va vista per intero. Una volta la legge truffa con voto di fiducia nel 1923 portò il Paese dove tutti sappiamo: fascismo, guerra, devastazione, morte, stragi. La seconda volta fu un clamoroso fallimento, De Gasperi fu punito, Scelba lascia un segno, solo un segno, quello della repressione, uno stato di polizia.
Alessandro Cardulli
Da jobsnews.it