A voler sintetizzarne l’elezione a presidente della Nigeria, possiamo ricorrere al titolo del libro horror di Stephen King “A volte ritornano”. Muhammadu Buhari, 72 anni, generale in pensione, è una vecchia volpe che non ha mai accettato di finire in pellicceria. Per due anni (dall’83 all’85) guidò il paese più popoloso d’Africa grazie ad un colpo di stato, per poi essere a sua volta destituito dagli stessi militari che l’avevano posto all’apice dello stato. Per la quarta volta consecutiva si è presentato alle elezioni presidenziali e martedì ha coronato il sogno di sedere sullo scranno più alto.
Ha vinto in realtà per i demeriti del suo avversario. Goodluck Jonathan, cristiano del sud, negli anni trascorsi come presidente si è concentrato innanzitutto su come incrementare i suoi conti correnti privati. Si è caratterizzato per l’immobilismo e la mancanza di risolutezza nel fermare l’escalation terroristica di Boko Haram, mostrandosi totalmente inadeguato al compito, privo di coraggio, circondato da un entourage profondamente spaccato al suo interno. Anche lui affetto dalla mania degli annunci di svolte storiche nella politica nigeriana senza mai attuarle. Non a caso il quotidiano “The Guardian” lo ha bollato con spietatezza tutta britannica come “accidental president”, ovvero presidente per caso.
Buhari è stato capace invece con i suoi appelli all’unità nazionale e “a guarire insieme le ferite del paese” a dare l’impressione di aver messo in soffitta gli abiti di musulmano osservante per indossare quelli di candidato imparziale, ottenendo consensi anche tra i cristiani, in un paese dove il voto è ancora espressione dell’appartenenza etnica e religiosa, diviso tra il nord musulmano e povero ed il sud cristiano e avanzato, con tre grandi gruppi etnici: Yoruba nel sud-ovest, Igbo nel sud est e Hausa Fulani nel nord.
Eppure Buhari non aveva nascosto in passato la sua approvazione per l’estensione della sharia (ovvero la legge coranica) nel nord della Nigeria mentre nel 2012 Boko Haram lo aveva incluso in una lista di persone che i terroristi avrebbero accettato come mediatori per un eventuale cessate il fuoco. Una vicinanza sospetta che però i suoi sostenitori rimandano ai mittenti, ricordando il pugno di ferro usato durante gli anni trascorsi alla guida della nazione più popolosa d’Africa contro la sicurezza dello stato e la corruzione (che è stato anche il cavallo di battaglia della sua ultima campagna elettorale). Va però sottolineato che i due anni di potere di Buhari furono i più oscuri del paese, contrassegnati da arresti arbitrari di oppositori ed esecuzioni a sangue freddo. Nella spire della violenza di stato incappò anche il musicista Fela Kuti, scarcerato solo con una campagna di solidarietà internazionale. Quegli anni bui furono lapidariamente sintetizzati dal premio Nobel per la letteratura Wole Soynka in uno scritto intitolato apoditticamente “I crimini di Buhari”.
Oggi Buhari ritorna a guidare la Nigeria. Terrorismo e corruzione sono però figli di un sistema economico malato che costringe la maggioranza dei 173 milioni di abitanti a sopravvivere con meno di due dollari al giorno, in un paese che ha il prodotto interno lordo più alto del continente grazie ai giacimenti petroliferi che lo pongono tra i primi 13 produttori mondiali. Forse il primo atteso passo di Buhari è l’avvio di una politica economica sostenibile, cosa di cui non fu capace nei due anni trascorsi al potere.