Padre Giovanni Ladiana ha 64 anni, è un gesuita e vive a Reggio Calabria dove è fra gli animatori del movimento “Reggio non tace” (fondato nel 2010); non tace perché in terra di ‘ndrangheta il silenzio rischia di diventare assuefazione, complicità, tanto più in una realtà sociale ed economica immersa in un tessuto mafioso che tende a divorare ogni cosa. Eppure, dice padre Ladiana, anche se oggi tutto sembra pietrificato, pure la ‘ndrangheta finirà un giorno e bisogna allora parlare con la gente, fargli prendere coscienza del male che è nel quotidiano, nelle loro vite, prepararli a quel giorno. Padre Ladiana ha pubblicato di recente un libro nel quale racconta la sua storia, la sue fede, le sue battaglie. S’intitola: “Anche se tutti io no. La Chiesa e l’impegno per la giustizia” edito da Laterza. La frase, ‘anche se tutti io no’, è ripresa da quella pronunciata da Pietro durante l’ultima cena. A Roma il gesuita ha presentato il suo libro con il procuratore Giuseppe Pignatone, di cui è amico.
Padre Ladiana, lei sostiene che di fronte a fenomeni aggressivi come la ‘ndrangheta dobbiamo riscoprire la categoria del nemico e dire che la mafia è un sistema assassino, cosa significa?
Spesse volte noi pensiamo che le cose si appianano da sole, ma non è così. Quando c’è una guerra non finisce da sola. E le mafie oggi rappresentano la guerra peggiore che c’è nel mondo; stanno conquistando spazio perché non stiamo opponendo questa che io chiamo inimicizia, non stiamo opponendo una rottura. E però è necessario, dobbiamo smetterla di fare i diplomatici.
Lei vede il rischio che alla fine la società si lasci ‘assimilare’ dalla cultura mafiosa?
Guardiamo i fatti. Lo dicono anche confindustria e guardia di finanza, 43 miliardi di euro della ‘ndrangheta ogni anno vengono riciclati in Italia nell’economia legale. E vengono riciclati in che modo: sostanzialmente entrando nelle attività produttive. Allora questo significa che il nostro Paese è fatto anche di questi 43 miliardi di euro. Quando vedi questo ti rendi conto che conviene a tutti che la nostra economia sia malata. Se entrano 43 miliardi di euro nel circuito legale ciò significa che c’è bisogno di questi soldi, e anche la lotta contro la ‘ndrangheta si fa con prudenza; pensiamo a quante sono le aziende che, se fosse eliminata la ‘ndrangheta, non potrebbero esistere più. Molto concretamente: nel Veneto, checché ne dicano, quante sono le imprese già in mando alla ‘ndrangheta? Ma questo non è che il primo passo. Perché quando si è arrivati a a un simile livello, c’è poco da fare: gli appalti in mano a chi vanno? Le cose sono collegate, non è questione di corruzioni personali. Ci sono sistemi, e allora non è più questione di un singolo.
Non è solo, evidentemente, un problema del Meridione…
Gli ‘ndranghetisti calabresi sono arrivati al nord trent’anni fa, oggi ci sono dentro tutti, anche noi, tutti quanti. Se noi non avessimo i soldi della ‘ndrangheta saremmo ridotti peggio della Grecia. Il problema è che tutto questo ormai è diventato sistema. Quanto ha fatto emergere Pignatone a Roma (il caso di mafia capitale, ndr), mostra appunto che un simile stato di cose è diventato sistema. Un sistema nel quale la Regione Lombardia era quella con il più alto numero di consiglieri ‘ndranghetisti, ma non tutti meridionali, il caso però riguarda anche città come Torino, Firenze…
Che significa oggi essere cristiani e essere Chiesa in Calabria?
L’ultimo documento che ha scritto la conferenza episcopale calabrese è di una durezza estrema contro la criminalità. Soltanto che poi, dopo le parole, bisogna prendere delle decisioni concrete e questo è il problema.
Un discorso che vale anche per la scomunica pronunciata dal papa proprio in Calabria contro i mafiosi?
Certo, le parole del papa sono importanti, ma questa cosa è stata detta già da molto tempo, ora è stata ripetuta dai vescovi calabresi, però bisogna decidere come si procede. Fare o non fare la comunione, dare o meno l’assoluzione? E’ necessario tradurre queste cose in concreto. Ora si attende che esca un documento dei vescovi che deve dare attuazione a questa presa di posizione.
Quali sono le connessioni della ‘ndrangheta con la criminalità internazionale? Lo stesso papa Francesco spesso parla della criminalità organizzata come di un fenomeno globale.
La ‘ndrangheta è la mafia più potente del mondo, l’unica organizzazione mafiosa che può comprare la droga pagando dopo e senza ostaggi. E queste sono cose che magistrati come Pignatone, Gratteri, dicono da un sacco di anni. E’ la mafia più potente. Prima, quando la mafia (italiana, ndr) comprava la droga in America Latina succedeva questo: doveva andare un alto emissario mafioso e rimanere in mano ai produttori di droga fino a quando lo scambio non era compiuto: non arrivava cioè a destinazione la nave con il carico di droga e non tornavano indietro i soldi. Ora l’unica mafia che può comprare la droga senza dover lasciare ‘l’ostaggio’ è la ndrangheta, perché lì ci stanno calabresi che trattano direttamente con i produttori, comprano tonnellate di droga ogni anno.
Per dire: la mafia cinese che in Italia sta comprando da tutte le parti, a Reggio non compra nulla. A Catania, in Sicilia, la mafia cinese ha comprato interi quartieri; nel mercato storico della “Fera ‘o luni” (nella città etnea, ndr), tutte le bancarelle erano un tempo controllate dalla mafia, ora sono controllate dai cinesi. Che significa questo? Che hanno avuto la possibilità di condizionare la mafia, con i soldi se vuoi. Qui invece c’è il negozietto della mafia cinese, ma se lo sognano di poter controllare il territorio, sono loro i controllati.
In che prospettiva si vive a Reggio? Ha senso parlare di riscatto, di presa di coscienza?
Questa situazione a Reggio Calabria è solidificata da 40 anni. Dopo i moti di Reggio (1970) c’è stata una spartizione delle cose che è diventata normale. Prima erano i mafiosi che andavano a chiedere favori ai politici, adesso i politici fanno le processioni a casa degli ‘ndranghetisti per avere i voti. Alla fine come li ripaghi questi qui? Con gli appalti, ovviamente, con la sanità ecc. Con tutte queste cose qui che sono l’unica ricchezza che può mettere in campo la politica, cioè i soldi pubblici. Io ho 64 anni e mi sono tolto dai miei obiettivi – ho proprio fatto un grande lavoro di pulizia interiore – quello di pensare che devo lottare per vincere. Io scendo in campo anche quando siamo 40, so che devo andare. Allora che cosa posso proporre? Posso far prendere coscienza alle persone che stanno male; dico: guardate vi muoiono i figli, e voi che fate? Per questo faccio riferimento a quelle parole dette da Pietro, ma che sono diventate anche lo slogan di un gruppo di gesuiti tedeschi che ha fatto opposizione al nazismo (il gruppo di Alfred Delp che scelse la nonviolenza, ndr) e che qualcuno cercò di coinvolgere dentro la resistenza armata. Ma loro invece hanno detto: devo pensare a come aiutare il giovane tedesco che sperimenterà il fallimento quando finirà il nazismo, perché prima o poi finirà. Dopo la gente sarà depressa, allora devo fare in modo che quel giorno qualcuno pensi: che devo fare io? Certo non da solo. E il merito che ha ‘Reggio non tace’ è che non è un gruppo non confessionale, questo significa che ho a che fare con non credenti, adoratori del sole, con buddisti, con tutti insomma, però ciascuno, proprio perché siamo impegnati chi con gli handicappati, chi con gli immigrati va dicendo, sa perché dobbiamo continuare.
Fonte: intervista è stata realizzata per la Provincia di Como
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