Come abbiamo fatto ad arrivare a questo punto? Sembra essere la domanda che si è posto Marco Damilano quando ha iniziato ad analizzare la situazione politica e sociale dell’Italia contemporanea, che è l’argomento principale de La Repubblica del selfie (Rizzoli, 2015). E per trovare le risposte è partito dalle origini, da quando la nostra Italia repubblicana è nata, apparentemente risorta dalle ceneri devastanti di una guerra e di una monarchia che si è cercato di scacciare e tenere lontane il più possibile dal ‘Nuovo Stato’.
«Il mio ideale politico è l’ideale democratico. Ciascuno deve essere rispettato nella sua personalità e nessuno deve essere idolatrato. Per me l’elemento prezioso dell’ingranaggio dell’umanità non è lo Stato ma è l’individuo creatore e sensibile, è insomma la personalità. È questa che crea il nobile e sublime, mentre la massa è stolida nel pensiero e limitata nei suoi sentimenti». Così Albert Einstein definisce il suo ideale politico e il come i politici sfruttino la massa stolida nel pensiero e limitata nei suoi sentimenti per affermare la propria personalità ben lo descrive Damilano ne La Repubblica del selfie. Per il fisico tedesco nessuno deve essere idolatrato invece la storia politica della Repubblica italiana è piena zeppa di ‘idoli’ i quali indistintamente hanno cercato di captare i bisogni e i malesseri della massa per propagandarli come obiettivi e finalità. Destra, sinistra, centro-destra e centro-sinistra senza distinzione alcuna e se c’è un punto in cui tutte le forze politiche si sono sempre incontrate è proprio nell’aver ‘sfruttato’ il popolo per le personali scalate ai vertici del potere.
Damilano in più punti e per più personaggi evidenzia le analogie come le differenze dei vari leader ma ciò che tristemente emerge dal suo resoconto è la reazione pressoché invariata della gente che immancabilmente ha finito con il credere alle parole del Cicerone di turno, piena di speranze e aspettative, immancabilmente deluse. E succede anche questa volta con un vero e proprio assalto alla diligenza nel tentativo di salire quanto prima sul carro del vincitore e ciò accade non solo tra gli elettori.
«Dall’uno contro tutti, come appariva Renzi nel 2012, al tutti per uno attuale, quando nella Roma dei palazzi è diventato impossibile trovare un emergente, o un consumato gattopardo, che non si dichiari preventivamente renziano.»
Come abbiamo fatto ad arrivare a questo punto? «La Prima Repubblica era la Repubblica dei partiti. Con l’ossessione della rappresentanza. Nessuno doveva sentirsi escluso dal gioco: nessuna ideologia, nessuna categoria. Tutti dovevano sentirsi coinvolti nella partita. […] La Seconda Repubblica è stata la Repubblica della rappresentazione. Il suo simbolo è stata la tv commerciale che già negli anni Ottanta, prima che il berlusconismo prendesse forma politica, proponeva modelli di vita, rappresentazioni cui uniformarsi. […] La Terza Repubblica, la Repubblica di Renzi, sarà la stagione dell’auto-rappresentazione. Saltare i canali di comunicazione del passato. La Prima Repubblica aveva la Rai, la Seconda la tv commerciale, la Terza Twitter.»
Damilano riprende e ripercorre la storia delle ‘origini politiche’ di Matteo Renzi, dei suoi amici, collaboratori, dei presunti finanziatori e presumibili recruiter. Passaggi importanti, determinanti per analizzare ciò che è stato e soprattutto ciò che sarà, tappe fondamentali della sua ascesa politica che sembrano non interessare alcuno dei suoi fan o follower immancabilmente pronti a ritwittare ogni cinguettio del selfie-made-man nazionale, come lo ha definito il giornalista Marco Travaglio scrivendo la prefazione a L’Intoccabile. Matteo Renzi. La vera storia di Davide Vecchi (Chiarelettere, 2014).
«Il renzismo è figlio del berlusconismo? Per provare a rispondere bisogna recuperare un documento destinato a restare segreto e rivelato dall’Espresso nell’estate 2012. Il progetto denominato “Rosa tricolore” era stato preparato da esponenti del cerchio magico che circonda Berlusconi vicini al toscano Denis Verdini, il potente padrone dell’apparato forzista. Si prevedeva in breve tempo l’azzeramento di tutto il gruppo dirigente del Pdl (Verdini escluso) e l’ingresso sulla scena di un nome nuovo. Il solo giovane uomo che ci fa vincere: Matteo Renzi, si leggeva nel titolo.»
D’altronde che Renzi sia ben visto e ben voluto dalla cerchia filo-berlusconiana ben lo si evince dalle dichiarazioni di Giuliano Ferrara: «E volete che un vecchio berlusconiano pop, come me, non si innamori del boy scout della Provvidenza?». Un ‘amore’ così forte da sopravvivere anche al ‘tradimento del Patto’ perché, scrive Damilano, «Renzi per Ferrara è qualcosa di più del semplice prediletto del berlusconismo: è il discendente di una cultura che vede l’essenza della politica nella Realpolitik, nell’analisi feroce e spietata dei rapporti di forza, nel cinismo dei patti traditi e dei capovolgimenti di pensiero».
Non dovrebbero stupire e trovare largo consenso a questo punto le accuse di chi punta il dita sul ‘vuoto’ creatosi negli ideali tanto professati dalla Sinistra italiana, la mancanza pressoché assoluta di politiche che rimandano al welfare, al sociale, al collettivo, le accuse di chi vede completamente svuotati di valori e di ideali questi partiti diventati a tutti gli effetti degli uffici di collocamento del business della politica e invece sono veramente pochi gli italiani che ammettono il fallimento e ancor di meno sono gli operatori del settore dell’informazione che scrivono o dicono esattamente come stanno le cose e perché, quelli che il Presidente del Consiglio in carica chiama i “gufi”. Meglio non dire, meglio non riflettere, senza analisi e senza critiche profonde si va avanti a colpi di tweet e selfie che sono o sembrano dei veri e proprio lanci pubblicitari. «Un selfie moltiplicato per milioni di italiani. Auto-scatto, auto-promozione sui social network, auto-identità, auto-referenzialità. Auto-rappresentazione, appunto».
Ne La Repubblica del selfie Marco Damilano scava a fondo nella storia politica contemporanea illuminando quei personaggi o quegli eventi apparentemente distanti, lontani, volutamente o casualmente passati nel dimenticatoio collettivo e li riporta in prima fila, allineando pensieri e riflessioni e regalando al lettore uno spaccato della nostra Repubblica che invita molto alla riflessione e perché no all’autocritica, come italiani ma soprattutto come elettori e, nella «Repubblica di Renzi», anche come follower. L’autore non manca di ricordare che alle scorse elezioni europee il partito democratico ha superato il 40% e ottenuto un consenso che neanche Berlusconi aveva raggiunto, eguagliando la popolarità dei tempi d’oro della Democrazia cristiana.
Per tutte le 270 pagine che compongono il libro Damilano racconta, da giornalista e narratore, una considerevole mole di fatti, accadimenti, riportando dati, informazioni, nomi e luoghi ma lo fa con un linguaggio molto discorsivo, non pesante che, unitamente alla curiosità che nasce nel voler saperne ancora, conduce il lettore voracemente fino alla conclusione che in realtà rappresenta solamente l’inizio di un qualcosa che, nonostante tutto, non si è riusciti a definire fino in fondo.
«“Trame, segreti, finti scoop, balle spaziali e retro pensieri: basta una sera alla tv e finalmente capisci la crisi dei talk show in Italia” scrive mentre sta guardando Piazza Pulita. “Dobbiamo cambiare modo di raccontare l’Italia e la politica” aggiunge. Cambiare il modo di raccontare l’Italia per cambiare l’Italia. Proposito vagamente inquietante, se a esprimerlo è il presidente del Consiglio.»
Mahatma Gandhi sosteneva che «l’uomo si distrugge con la politica senza princìpi, col piacere senza la coscienza, con la ricchezza senza lavoro, con la conoscenza senza carattere, con gli affari senza morale, con la scienza senza umanità, con la fede senza sacrifici».