L’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin e quel traffico d’armi clandestino

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Un traffico di armi e non una rapina o un tentativo di sequestro. I giornalisti della nostra emittente pubblica,  Ilaria Alpi e Miran Hovratin, sono caduti in un agguato scattato il 20 marzo 1994 e studiato in ogni dettaglio per eliminare due cronisti diventati ormai troppo pericolosi. Grazie a una soffiata dei servizi segreti italiani rimasti ancora legati al signore della guerra Mohamed Farah Aidid, il telegiornale 3 della RAI sembra aver raccolto indizi sufficienti per smascherare un traffico d’armi clandestino portato avanti da due noti broker internazionali, il siriano Monzer al-Kassar e il polacco Jerzy Dembrowski.

Il traffico si svolgeva in un territorio controllato dall’altro signore della guerra  somalo, Mohamed Ali Mahadi su cui avevano puntato gli Stati Uniti e che ha portato gli autori dell’inchiesta (sarà trasmessa stasera sul terzo canale della Rai, fino alla Lettonia). Un traffico svolto per conto della CIA e gestito dalla flotta della società Schifco, donata dalla Cooperazione italiana alla Somalia per incrementare l’industria peschiera  nell’Oceano Indiano del Corno d’Africa. L’ultimo viaggio che ha occupato duecento giorni (sono state utilizzate anche le rivelazioni di un ex appartenente a “Gladio”, la rete clandestina anticomunista attiva in Italia negli anni della guerra fredda) portò i due cronisti a un traffico che i servizi segreti americani volevano tenere segreto che riguardava la spedizione in Somalia di cinquemila fucili di assalto e cinquemila pistole da parte degli Stati Uniti. Il tutto attraverso una triangolazione che aggirava l’embargo decretato dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU e consegnava una partita di armi alla neonata federazione croata bosniaca contro Milosevic durante la guerra nell’ex Jugoslavia dopo la morte del maresciallo Tito. In due rapporti delle Nazioni Unite del 2002 e del 2003 si segnalano due differenti carichi trasferiti da navi della Lettonia a navi della Schifco . Il primo avviene il 14 giugno del 1992 e il secondo nel marzo del 1994: è identico a quello registrato  a bordo della “21 Oktobar”, l’ammiraglia della flotta Shifco, la cui rotta è tracciata dai Lloyds fino al porto iraniano  di Bandar Abbas.

Di qui avrebbe preso il largo verso la Somalia a bordo di un’altra nave. Ilaria e Miran sarebbero morti pochi giorni dopo. La “Farax Oomar”, l’altra nave della Shifco, con a bordo due italiani e ormeggiata a Bosaso su cui indagava la giornalista della Rai  era ostaggio del clan di Ali Mahdi. Serviva come garanzia del pagamento della tangente per il traffico di armi tra gli Stati Uniti e l’Italia destinato a Zagabria. Ilaria Alpi, che ignorava tutto questo, aveva dei sospetti e cercò di chiarirli nella sua ultima intervista al sultano di Bosaso: gli chiese se la “Farax Oomar” ormeggiata era sotto sequestro. Una domanda fatale per il suo destino. Basta osservare la reazione del capotribù alla domanda. I due cronisti verranno attirati in una trappola con una telefonata. Lasciano il loro albergo e si avventurano nella parte meridionale di Mogadiscio per raggiungere l’hotel Amana. Cioè fanno qualcosa di eccezionale e dopo un agguato verranno freddati con un colpo alla nuca. Una vera esecuzione di fronte alla possibile rivelazione di un segreto che non poteva in nessun modo esser svelato.


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