I fatti si consumano nella notte tra il 21 e il 22 luglio del 2001, quando a Genova è in corso il G-8, che, lo ricordate?, preoccupa molto Silvio Berlusconi per via delle fioriere da collocare in punti strategici, e dei panni stesi alle finestre che rischiano di dare una brutta immagine della città. Quella notte si consuma quella che il vice-questore aggiunto del primo reparto mobile di Roma Michelangelo Fournier descrive come “una macelleria messicana”. Proprio così: Fournier arriva al primo piano della scuola Diaz, e vede un inferno: “Quattro poliziotti, due con cintura bianca, gli altri in borghese: infieriscono sui manifestanti inermi a terra. Sembrava una macelleria messicana. Sono rimasto terrorizzato e basito quando ho visto a terra una ragazza con la testa rotta in una pozza di sangue. Pensavo addirittura che stesse morendo. È a quel punto che grido: ‘Basta! Basta!’, e caccio via i poliziotti che picchiavano. Intorno alla ragazza per terra c’erano dei grumi che sul momento mi sembrarono materia cerebrale. Ho ordinato per radio ai miei uomini di uscire subito dalla scuola e di chiamare le ambulanze…”.
Il ricorso alla Corte di Arnaldo Cestaro, una delle vittime del pestaggio
Da allora sono trascorsi ben 14 anni; ed ecco che la Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo (CEDU) accoglie il ricorso di uno dei massacrati alla Diaz, riconosce le sue buone ragioni, il diritto di essere risarcito per i danni subiti. Si chiama Arnaldo Cestaro, la vittima del violento pestaggio che a Strasburgo trova un giudice. Nel 2001 ha 62 anni. Da allora è un via vai in ospedali e cliniche, conseguenza dei danni subiti. Dorme, quando i poliziotti cominciano a massacrare lui e gli altri di botte; gli rompono un braccio, poi gli rompono una gamba, poi gli rompono dieci costole… Quando lo portano in ospedale per salvarlo lo devono operare con urgenza, una corsa contro il tempo, come nei telefilm con George Clooney. Cestaro, che di anni ora ne ha 76, ricorda ancora tutto come fosse ieri, e la memoria è aiutata dai segni di quelle sevizie, ancora visibili sul corpo. Quei 45mila euro che lo Stato italiano gli deve come risarcimento, sono noccioline insipide, rispetto alle violenze patite.
Quattordici anni dopo, quattordici anni di fiele
Una beffa: che giustizia è mai quella che ti fa andare fino a Strasburgo, alla CEDU; e ti dà soddisfazione quattordici anni dopo? Quattordici anni di fiele; ci vuole una buona dose di caparbietà per non mandare tutti e tutto al diavolo. Ma per fortuna a questo mondo ci sono anche caparbi come Cestaro; e anche avvocati più testardi di Cestaro, come Nicolò e Natalia Paoletti, Joachim Lau e Dario Rossi: tipi tosti, che la durano; e alla fine la vincono. Perché la sentenza Cestaro (chiamiamola così, per comodità), è importante, va al di là di Cestaro e del suo calvario. La Corte di Strasburgo sancisce che l’Italia è colpevole di violazione della Convenzione europea sul divieto di trattamenti disumani e degradanti. E’ da qui che bisogna partire; e capire che il problema non è costituito solo da quella “macelleria” che si consuma quella notte alla Diaz.
L’Italia non ha ancora inserito nel codice penale il reato di tortura
Il fatto è che sono trascorsi 65 anni dopo la Convenzione europea, e 31 anni dalla Convenzione di New York; l’Italia le ha firmate entrambe. Ma a differenza di tutti i paesi europei, Città del Vaticano compreso, non ha ancora inserito nella sua legislazione penale il reato di tortura; dopo 65 anni dalla Convenzione europea, dopo 31 anni da quella di New York, quel “buco” c’è ancora. E non c’è verso di colmarlo. È tutta qui, la carne della questione. La sentenza sancisce un principio: è tortura anche un comportamento svincolato dall’intenzione di ottenere qualsivoglia cosa dal torturato; è tortura, indipendentemente dal comportamento di quest’ultimo. La sentenza dice che è certamente grave che sia accaduto quello che è accaduto; ed è grave che i colpevoli non siano stati puniti; ma più grave di tutto è che tutto sia accaduto non tanto per responsabilità di una inerzia giudiziaria, di una connivenza, di una volontà di occultamento. No, tutto ciò è accaduto perché non si poteva fare altrimenti: in Italia non esiste il reato di tortura.
Non esiste il reato ma in Italia si tortura. Eccome
Cioè: sì, si tortura. Sono stati torturati, per esempio, Cesare Di Lenardo e gli altri brigatisti rossi, al tempo del sequestro del generale americano James Lee Dozier, perché quel generale andava liberato, costasse quel che costasse. Ed è stato torturato, fino a morirne, Salvatore Marino, il mafioso arrestato nel luglio del 1985 perché ritenuto coinvolto nel delitto del commissario Beppe Montana… Ma anche se si tortura, il reato di tortura non esiste, non c’è; e dunque come si fa a punire chi tortura? Si può “inventare” un altro reato, ma appunto: è una “invenzione”. Quello che servirebbe, non c’è. La CEDU insomma punta il dito sul fatto che i colpevoli non sono stati puniti; ma soprattutto ci condanna perché quei colpevoli non possono essere puniti. E questo perché i governi passano, una volta centro-destra, poi centro, poi ancora centro-sinistra, o “tecnici”…, ma le norme che rendano punibile la tortura restano al palo… Ora, dice la presidente della Camera Laura Boldrini, “tocca all’Italia far vedere che le cose sono cambiate, approvando immediatamente la proposta di legge che introduce il reato, con pene che vanno dai quattro ai dieci anni, approdata a Montecitorio lo scorso 23 marzo”. Il presidente della commissione Giustizia Donatella Ferrante dice che il provvedimento potrebbe diventare legge prima dell’estate. Sarebbe bello crederlo.
Manconi. Il testo in discussione alla Camera è già stato “depotenziato”
È Luigi Manconi, il senatore firmatario del disegno di legge che introduce il reato di tortura, a scuotere la testa perplesso: “C’è sudditanza psicologica nei confronti delle forze di polizia”, dice. “È come se gran parte della società e della classe politica temesse di sottoporre le polizie a quel processo di riforma e di autoriforma a cui sono chiamate tutte le istituzioni. Sembrano tenere più alla stabilità e alla impermeabilità di polizia e carabinieri, che alla loro democratizzazione”. Lo stesso testo in discussione alla Camera è diverso, rispetto a quello originario, sarebbe “depotenziato”. Depotenziato? Sì, usa questo termine, Manconi. In origine si prevedeva un reato “proprio”, imputabile a pubblici ufficiali e titolari di pubblico servizio; e questo perché il reato di tortura origina dall’abuso di potere: si ha quando qualcuno, eccedendo i limiti del potere legalmente detenuto, commette atti illegali ai danni di chi si trovi in sua custodia. Quel reato “proprio” è diventato ora un reato “comune”, allargato a tutti i cittadini. Una sorta di annacquamento, perché ampliare la competenza di fatto indebolisce l’efficacia del reato, lo rende generico, indistinto, di difficile applicazione. Che questo annacquamento sia stato votato dal centro-destra è nell’ordine delle cose; ma se lo vota anche il centro-sinistra? Miopia politica, basso e meschino calcolo securitario, scegliete voi perché. Fatto è che le cose stanno così.
I radicali Bernardini, in sciopero della fame e Pannella, sciopero della fame e della sete
Intanto, se tecnicamente parlando, per tortura si deve intendere, come dice la CEDU, un trattamento disumano e degradante, allora prepariamoci ad averne molte altre, di condanne. Ce lo ricordano la segretaria di Radicali italiani Rita Bernardini (35 giorni di sciopero della fame alle spalle), e Marco Pannella (da mezzanotte sciopero della fame e della sete). Bernardini e Pannella sbandierano dati ufficiali, del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria: al 31 marzo 2015 i detenuti presenti nei 200 istituti penitenziari italiani sono 54.122 e tornano a risalire dopo gli effetti dovuti ai vari provvedimenti “svuotacarceri” e, soprattutto, alla sentenza della Consulta che ha dichiarato incostituzionale la legge Fini-Giovanardi che equiparava le sostanze stupefacenti leggere (hashish e marijuana) a quelle pesanti (eroina, cocaina).
58 carceri con un sovraffollamento superiore al 130 %
Ci sono ben 58 carceri con un sovraffollamento superiore al130% (tenendo conto delle sezioni chiuse). Si va dal 200% della Casa Circondariale di Udine, al 199% del carcere di Busto Arsizio, al 196% del carcere di Latina. A Milano-San Vittore si registra un sovraffollamento del 182%; a Roma-Regina Coeli del 178%; a Verona Montorio del 176%; a Padova-2 Palazzi del 169%; a Lecce Nuovo complesso del 163,5%; a Napoli Secondigliano del 153%; a Bologna-Dozza del 150%;a Milano-Opera del 146%. I detenuti che lavorano sono solo il 20% e fanno lavori saltuari e per niente spendibili una volta finita la prigionia; in molti sono afflitti da gravi malattie e non sono curati come è loro diritto. Gli educatori sono insufficienti e non riescono a chiudere per tempo le relazioni di sintesi per l’accesso alle misure alternative, per non parlare della carenza di psicologi che si riflette drammaticamente su una popolazione detenuta che per il 30% è formata da tossicodipendenti e per il 20% da casi di sofferenza psichiatrica. Stando così le cose, ne avrà di lavoro, la CEDU…
Valter Vecellio
Da jobsnews.it