La Camera dei deputati, nella seduta di ieri (9 aprile 2015) ha approvato con alcune modifiche la proposta di legge C. 2168, già approvata dal Senato, che introduce nel codice penale il reato di tortura. La proposta dovrà tornare ora al Senato. Ieri pomeriggio alle 16 si è aperta la discussione con la votazione di alcune modifiche ed emendamenti presentati dai vari gruppi parlamentari. Una discussione che si è immediatamente prestata ad interpretazioni ideologiche.
Si è parlato di attacco alla sicurezza nazionale, di atto intimidatorio verso le forze dell’ordine, accostando la sentenza di condanna da parte della Corte di Strasburgo per le torture avvenute nel 2001 in occasione del G8 alla scuola Diaz di Genova (peccato sia mancata la citazione anche ai fatti avvenuti nella caserma di Bolzaneto, ndr), per denunciare la sollecitudine nel “voler sbrigare” la pratica in un solo pomeriggio di lavori.
Tempo troppo contingentato per la Lega Nord, seppur proprio da loro fosse stato approvato il calendario dei lavori. Peccato che il reato di tortura in Italia aspettasse da trent’anni di poter essere inserito nel codice penale. Dunque una certa urgenza c’era.
Già numerosi atti internazionali, come ricorda una nota della Camera dei Deputati “prevedono che nessuno possa essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti: tra gli altri, la Convenzione di Ginevra del 1949 relativa al trattamento dei prigionieri di guerra; la Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950 (ratificata dalla L. 848/1955), la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1966 (ratificata dalla L. 881/1977), la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 2000, la Convenzione ONU del 1984 contro la tortura ed altri trattamenti e pene crudeli, inumane e degradanti (la cd. CAT), ratificata dall’Italia con la legge n. 489/1988; lo Statuto di Roma istitutivo della Corte penale internazionale del 1998 (L. 232/1999).”
Tuttavia la maggior parte di tali atti si limita a proibire la tortura ma non ne fornisce una specifica definizione. Tale definizione è invece contenuta (oltre che nella citata Convenzione ONU) nello Statuto della Corte penale internazionale nonché nella più datata Dichiarazione ONU del 1975.
Il ddl approvato ieri con 244 sì, 14 no e 50 astenuti (M5Stelle) ha tra i suoi riferimenti principali proprio la Convenzione Onu contro la Tortura, firmata (anche dall’Italia), a New York nel 1984.
Vediamo in breve il testo approvato ieri : l’art. 1 prevede che quello di tortura sia un reato comune, punibile con la reclusione da 4 a 10 anni e ascrivibile a chiunque “con violenza o minaccia ovvero con violazione dei propri obblighi di protezione o assistenza, intenzionalmente cagiona a una persona a lui affidata, o comunque sottoposta a sua autorità, vigilanza o custodia, acute sofferenze fisiche o psichiche” per “ottenere informazioni o dichiarazioni, per infliggere una punizione, per vincere una resistenza” o “in ragione dell’appartenenza etnica, dell’orientamento sessuale o delle opinioni politiche o religiose”.
Secondo il M5S, già questo primo articolo non permetterebbe, ad esempio, di poter applicare il reato di tortura ai fatti di Genova alla scuola Diaz. Una denuncia fatta ai media nazionali il giorno precedente alla votazione attraverso una conferenza stampa promossa dai penta-stellati insieme all’Avvocato Fabio Anselmo, Ilaria Cucchi e Marcella Serra, la nipote di Mastrogiovanni. Tutte “morti di Stato” seguite dall’avvocato Anselmo che ha dichiarato in quell’occasione: “Questa nuova legge sulla tortura così come è stata scritta non si applicherebbe a nessuno dei casi che ho seguito in questi anni come legale; da quello di Federico Aldrovandi a Stefano Cucchi. Soprattutto a quello di Federico: nel caso Aldrovandi furono causate 54 lesioni sul corpo del giovane e si ruppero due manganelli, ma così per come è formulata oggi la legge sarebbe stata inapplicabile. Occorrerebbe infatti dimostrare che il motivo scatenante delle violenze fosse quello di voler infliggere sofferenze alla vittima e soprattutto di aver provato compiacimento. Questo è un limite di questa legge”.
Il senatore Manconi seppur anche lui critico, auspicava la riuscita della votazione attraverso una sua riflessione ospitata dal sito della rivista Internazionale: “Siccome il meglio è nemico del bene, qualsiasi persona sennata non può astenersi dal votare a favore del pur discutibile e pur limitato testo all’esame della Camera. Pena l’ennesimo affossamento dell’introduzione del reato di tortura nell’andirivieni parlamentare. In altre parole, dobbiamo sapere che se questo disegno di legge non venisse approvato così com’è oggi, è altamente probabile che per i prossimi cinque anni, e forse più, il reato di tortura rimarrà fuori dal nostro ordinamento. La scelta è, dunque, questa. E non ammette vie di fuga. Dobbiamo sapere, insomma, che o verrà approvata questa legge nella sua attuale e mediocre formulazione o non verrà approvata, per un periodo probabilmente assai lungo, alcuna legge”.
Fortunatamente l’auspicio di Manconi si è avverato e nel nuovo testo approvato è prevista anche l’aggravante quando a commettere il reato è proprio un pubblico ufficiale che agisce con abuso di potere o violando i doveri inerenti alla sua funzione. In questo caso, con un emendamento approvato ieri, la pena massima è di 15 (e non più 12) di carcere, la minima di 5, con una ‘postilla’: la sofferenza inflitta deve essere “ulteriore” rispetto all’esecuzione delle legittime misure privative o limitative dei diritti.
La pena, per pubblici ufficiali e non, sale di 1/3 in caso di gravi lesioni, di 2/3 per morte non voluta della vittima e si trasforma in ergastolo in caso di decesso causato volontariamente.
La legge introduce inoltre il reato di istigazione del pubblico ufficiale (ad altro pubblico ufficiale) a commettere tortura: da 1 a 6 anni di reclusione la pena prevista. L’art. 1 è l’asse di una legge che, tuttavia, interviene anche su espulsioni, immunità diplomatiche e estradizioni. Si vietano, infatti, espulsioni o respingimenti verso uno Stato nel quale, basandosi su fondati motivi, il respinto rischi di essere sottoposto a tortura. Stop – nel rispetto del diritti internazionale – anche all’immunità diplomatica a chi è condannato o indagato nel suo Paese d’origine.
Prevista infine l’estradizione di un cittadino straniero verso il Paese richiedente nel caso in questo risulti indagato o condannato per il delitto di tortura.
Oggi malgrado il testo di legge sia ancora carente in molte sue parti, l’Italia ha certamente fatto un ulteriore passo di civiltà, ma dopo quante primavere…