Sono trascorsi 274 giorni da quando la polizia Iraniana prelevò Jason Rezaian e moglie per condurli in carcere, senza apparente motivo. Sono stati, e continuano ad essere, nove mesi d’inferno durante i quali Jason, corrispondente a Tehran per il Washington Post, ha attraversato momenti di grande sofferenza e difficoltà. Nonostante fosse detenuto dal 22 Luglio 2014, l’accusa era stata ufficializzata solo in Dicembre, mentre i capi d’imputazione sono stati resi pubblici dalla Islamic Revolutionary Court due giorni fa: “spionaggio”, “collaborazione con governi ostili” e “propaganda contro il sistema”. Per il momento non è stata fissata alcuna data per l’udienza in tribunale.
Leila Ahsan, avvocato difensore, ha dichiarato tutta la propria perplessità in merito ai capi d’accusa. Anche Martin Baron, direttore esecutivo del Washington Post, ha speso belle parole per difendere la credibilità del proprio corrispondente: “Jason è un giornalista accreditato, la cui serietà professionale gli è valsa il rispetto e la considerazione del presidente Iraniano e del ministro degli esteri”. Dal canto suo, Jason ha più volte ribadito di aver agito nel rispetto deontologico dell’etica giornalistica, limitandosi a raccogliere e diffondere informazioni con mero intento divulgativo.
A sostegno di Rezaian, l’associazione Change.org ha rivolto una petizione all’Ayatollah Ali Khamenei e al presidente Hassan Rouhani per il “rilascio immediato e senza condizioni” del giornalista detenuto. Il documento vanta ad oggi 376.324 firmatari e testimonia l’indignazione tangibile di tutti coloro che non hanno intenzione di assistere in silenzio ad una forma tanto abietta di limitazione della libertà d’espressione.
La moglie, rilasciata su cauzione ad Ottobre, ha espresso le proprie preoccupazioni in merito alla salute del marito, la cui perdita di peso e le cui continue ricadute devono rappresentare un campanello d’allarme per il futuro.
I risvolti di questi vicenda aleggiano tutt’ora nell’incertezza del limbo: Jason Rezaian continuerà la propria “detenzione immotivata” nel carcere di Tehran e, forte degli affetti familiari, continuerà a combattere la propria battaglia in nome della libertà di pensiero e del rispetto del mestiere di giornalista.