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Il bluff e la paura. Caffè del 16

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Prova di forza è il titolo del Corriere della Sera. Ieri sera, rifiutando di discutere le dimissioni di Speranza da capo gruppo, dando dei Tabaqui o “leccapiatti” (lo sciacallo del Libro della Giungla) a chi non la pensa come lui, evocando l’Armageddon, “giudizio finale” tra le Oscure Forze del Male e il Bene, Matteo Renzi ha mostrato di considerare quella per l’Italicum la madre di tutte le battaglie.

Rivoluzione, colpo di stato, chiamatela come volete, ma la ricetta non è banale: delega al governo per tutto, jobs act, scuola, Rai, Pubblica Amministrazione. Un governo dal potere incontrastato per 5 anni, dominato da un Premier eletto direttamente dal “popolo” al ballottaggio, con una maggioranza che è tale per grazia ricevutà cioè per la vittoria del Premier, un presidente della Repubblica ridotto a notaio, una Corte Costituzionale intimidita. Renzi pensa che solo così solo lui potrà svegliare l’Italia, Bella Addormentata. Con l’unica grande dote che sa di avere: uno straordinario intuito per la politica, come tattica, gioco di guerra per spianare, asfaltare  e restare solo vincitore in campo.

Il bluff e la paura. Nel gioco del poker il bluff funziona quando l’avversario comincia a sudare, si muove, tentenna. “Renzi: governo in gioco”, la Stampa. “Subito il sì alla legge o il governo cadrà”, Repubblica. È un bluff: se temesse di poter essere battuto nel voto sull’Italicum, Renzi si affretterebbe a mediare. Invece, chissà quante volte in queste ore avrà ripetuto al telefono a un interlocutore renitente: “Io sono grullo, questa volta mi dimetto”. Non lo farebbe, non spegnerebbe ancor giovane il suo glorioso futuro, ma le minoranze Pd non sono tuttavia in condizione di “vedere” il bluff. Perché non osano dirsi che è l’essenza del renzismo che non funziona, che non può funzionare. Cuperlo fa appelli alla ragione, Civati non sta né dentro né fuori, Bersani recita un non ci sto, stanca replica del non sarei sincero se dicessi che mi avete persuaso di Ingrao all’undicesimo congresso.

Il Partito della Nazione ha le piaghe della nazione. “Non diede l’allerta alluvione, Paita indagata in Liguria”. Per carità, magari sarà prosciolta, ma il rinnovamento si rivela per quel che è: riciclaggio di gruppi che hanno esercitato (piuttosto male) il potere per conto del PD o di una destra trasformista che cerca casa. (Ad Agrigento, il Pd renziano ha candidare a sindaco un amico di Berlusconi, che è poi tornato alla casa madre, e ora gli oppone un UDC). La solitudine del super politico ormai è palpabile: l’Italia peggiore gli ha preso le misure e continua come sempre. E alla retroscenista di corte (Meli, Corriere) non resta che fare quel che non si fa: tirare la giacca di Mattarella, “dal Quirinale si fa sapere che il dibattito sulla fiducia non riguarda il Colle”.

Francesco e l’asse del male. Erdogan ha superato se stesso. Accusando il Papa di aver ceduto all’asse (lui ha detto “fronte”) del male ha ammesso la vera natura dello scontro. Perché quell’asse (Iraq, Iran, Corea) George W Bush lo inventò quando decise di risparmiare lo stato maggiore di Al Qaeda (circondato, con Bin Laden sulle montagne tra Afganistan e Pakistan) per invadere invece l’Iraq. Ecco, insieme all’Arabia Saudita e con la benedizione di Netanyahu, la Turchia oggi risparmia il Daesh in difficoltà, preferendo la guerra tra Stati Sunniti e Sciiti, per l’egemonia sul Medio Oriente. Lo sterminio delle minoranze, nazionali e religiose, (come un secolo fa) è solo un danno collaterale della guerra. Erdogan ha pure minacciato di espellere altri 100mila armeni. Bergoglio ha davvero colpito nel segno

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