Nel bel mezzo della copertura mediatica globale della tragica scena che ha visto annegare centinaia di migranti a largo delle coste italiane all’inizio di questo mese, Hopkins ha scritto: «Non mi interessa. Mostratemi le immagini di bare, i corpi che galleggiano sull’acqua, suonate i violini e mostratemi persone magrissime dallo sguardo triste. Ancora non mi interessa… Questi migranti sono come gli scarafaggi. Potrebbero sembrare un po’ come quelli dell’Etiopia di Bob Geldof, ma sono fatti per sopravvivere a una bomba nucleare. Sono sopravvissuti».
Questo pezzo incendiario è apparso solo poche ore prima dell’affondamento di un’altra imbarcazione che trasportava migranti a largo della costa libica, uccidendo qualcosa come 800 persone. Ha suscitato proteste su larga scala: oltre 300mila reclami online e oltre 300 reclami alla da poco nata Indipendent Press Standards Organization (Ipso).
L’intervento dell’Alto Commissario Onu per i Diritti Umani Zeid Ra’ad Al Hussein, però, mostra che la frustrazione per l’odio ispirato dai media, in questo caso proveniente dal più venduto quotidiano inglese – appartenente a News Ltd di Rupert Murdoch, uno dei maggiori gruppi editoriali al mondo, arriva ben oltre le coste del Regno Unito.
«I media nazisti descrivevano le persone che i gerarchi volevano eliminare come ratti e scarafaggi», ha affarmato Zeid. L’Alto Commissario ha chiesto al governo britannico, ai media e agli organismi di regolamentazione di rispettare le leggi nazionali e internazionali in materia di contrasto all’incitamento all’odio.
Il suo intervento solleva due questioni che dovrebbero preoccupare la travagliata industria della stampa britannica. La prima è se la stampa scandalistica, nonostante tutte le proposte di riforma post Leveson, abbia davvero la volontà di auto-regolamentarsi. E la seconda è spiegare perché l’Inghilterra sembri essere l’unica democrazia in Europa dove il problema dell’hate speech è generato non dall’esterno della redazione – da estremisti politici o leader religiosi – ma dal suo interno, dove fiorisce nel mezzo di un mix di stereotipi editoriali, faziosità e interessi commerciali.
Mentre la campagna elettorale inglese guadagna ritmo i leader politici, anche quelli dei partiti anti-immigrazione, hanno evitato di istigare sentimenti xenofobi. Ma quando la questione arriva alla ribalta è spesso il risultato di una scelta editoriale, qualcosa evidenziato da Zeid, il quale ha detto che mentre altrove in Europa la “demonizzazione” dei migranti sta avvenendo, questa è «solitamente guidata da partiti politici estremisti o da demagoghi, piuttosto che da media estremisti».
L’Alto Commissario Onu ha indicato altri esempi di tabloid che hanno attaccato i migranti e ha ricordato come il Daily Express 12 anni fa abbia «pubblicato 22 storie negative su richiedenti asilo e rifugiati in un periodo di 31 giorni». Quel caso (l’unico in circa cinquanta anni in cui sono stati i giornalisti a denunciare la loro stessa testata al consiglio nazionale della stampa) è stato anche messo in evidenza da Lord Leveson nella sua indagine sugli eccessi della stampa british risalente a tre anni fa. Nel rapporto finale Levenson condannava un’informazione «superficiale e incauta» e concludeva che la regolare copertura discriminatoria, sensazionalistica e sbilanciata sulle minoranze etniche, i migranti o i richiedenti asilo conduceva a una stampa ostile e xenofoba. In particolare, aveva sottolineato come alcune sezioni della stampa ritraessero i musulmani sotto una luce negativa, domandando se questi articoli si potessero considerare «appropriati in una democrazia matura». Accusò i quotidiani di manipolare le storie per perseguire la loro agenda politica contro l’immigrazione.
Una storia del Sun, per esempio, intitolata «Swan Bake», sosteneva che delle gang di richiedenti asilo provenienti dall’Europa dell’est uccidessero e mangiassero i cigni di Londra. Persone non identificate venivano citate come testimoni. Ma non era vero. In un altro esempio, un articolo del Daily Star titolato «I richiedenti asilo mangiato i nostri asini», la montatura si basava sulla scomparsa di nove asini da un parco di Londra. In un pezzo di sole speculazioni si affermava che la carne di asino fosse «una specialità in Somalia e nell’Est Europa» e che nelle vicinanze vivessero «un alto numero di richiedenti asilo somali» e alcuni albanesi.
Tre anni dopo, Ipso ha pubblicato una troppo formale dichiarazione sull’incidente Hopkins. Hanno confermato di aver ricevuto reclami e che un’indagine sarà aperta – nessuna menzione all’importanza della questione, nessun accenno alla profondità della preoccupazione suscitata nell’opinione pubblica, nessuna reiterazione degli appelli alla responsabilità della stampa, specie con un’elezione nazionale a pochi giorni di distanza. Questa risposta burocratica alimenta la paura che, almeno per i redattori e gli editori dei tabloid, la stampa sia tornata ad agire come è di norma nel dopo Leveson. Sperano che questa gaffe imbarazzante, come altre in passato, venga dimenticata. Un giudizio arriverà in qualche settimana da ora e sarà probabilmente critico nei confronti del Sun e della sua editorialista (come potrebbe essere altrimenti?), ma arriverà dopo le elezioni e quando la memoria dell’offesa iniziale sarà ormai sfumata nel folclore dei misfatti passati.
È un peccato. Il momento di agire è ora, ma l’attuale regolamentazione della stampa britannica non offre prospettive di intervento veloce per i reclami urgenti e gravi. E fallisce nel rispondere alla sfida posta da Zeid di trovare un modo per eliminare dalla stampa, una volta per tutte, le minacce che si presentano come casuali, odiose e pericolose discriminazioni contro le minoranze vulnerabili.
«La storia ci ha mostrato più volte il pericolo di demonizzare gli stranieri e le minoranze – avverte il Commissario Onu – ed è incredibile e profondamente vergognoso assistere a questo tipo di tattiche usate in diversi paesi, solo perché il razzismo e la xenofobia sono facili da risvegliare per poter ottenere voti o vendere giornali».