#DontLookAway, è questo l’hashtag legato alla Giornata mondiale per il Darfur animata per riaccendere i riflettori sulla crisi nella regione occidentale sudanese dove sono ripresi gli stupri di massa e gli attacchi delle milizie filo-governative a villaggi e campi profughi.
L’ultimo episodio portato alla luce da Italians for Darfur e Human right watch è avvenuto nel villaggio di Tabit dove sono state violentate 221 tra donne, adolescenti e bambine.
In precedenza era accaduto già in altre realtà della regione.
Kutum, Shangil Tobaya, Tawila, Kalma e Suleya sono solo alcuni dei villaggi dove le giovani vengono sequestrate e violentate da gruppi armati. Lo stupro viene utilizzato come arma di guerra.
Che ormai la situazione sia fuori controllo lo testimonia anche il rapporto presentato mercoledì scorso a Nairobi dall’International Crisis Group, autorevole centro di ricerca specializzato nell’analisi dei conflitti e nella proposta di soluzioni sostenibili.
Nel documento, di 19 pagine, l’Icg chiede al governo sudanese di disarmare le milizie, di sostenere il dialogo intercomunitario e i meccanismi tradizionali di riconciliazione. Ma finora Khartoum non ha mostrato la volontà di sviluppare proposte che possano rispondere alle preoccupazioni delle comunità del Darfur su questioni quali la sicurezza, la proprietà della terra, la fornitura di servizi di base e lo sviluppo.
Nei primi cinque mesi del 2015 il dato relativo ai nuovi sfollati è praticamente triplicato a causa della recrudescenza del conflitto in molte aree della regione che ha registrato il flusso più consistente dal 2006 a oggi.
L’assistenza alle centinaia di migliaia di nuovi profughi, per lo più donne e bambini, nel 2014 è stata carente in tutto il Darfur.
Le minacce sono sempre le stesse: insufficiente disponibilità d’acqua e di cibo, condizioni igienico sanitarie e sicurezza inadeguate. La mortalità continua a essere molto alta. In pochi superano i 50 anni mentre tra i bambini il 60% non raggiunge il sesto anno di vita. Eppure non se ne parla.
Il Global day for Darfur 2015 è stato caratterizzato da dimostrazioni in varie capitali mondiali, promosse da una coalizione internazionale di organizzazioni. Da Washington a Roma, attivisti e rifugiati sudanesi hanno manifestato per richiamare l’attenzione dei media e delle istituzioni sulle nuove violenze in Sudan. I racconti dei profughi, sia dei monti Nuba sia del Darfur, raccontano di continui assalti delle Rapid Support Forces (prima conosciute come janjaweed) seguiti in molti casi da raid aerei delle forze aeree sudanesi che hanno coinvolto milioni di persone nei villaggi e nei campi profughi che accolgono gli sfollati.
Come Articolo 21 siamo da sempre attenti alle crisi dimenticate e con ‘Italians for Darfur’ portiamo avanti da anni la battaglia per dare visibilità a questo conflitto che continua a essere ignorato dai grandi media.
Ma serve l’aiuto di tutti per ‘illuminare’ davvero questa realtà volutamente ‘censurata’.
Sono passati solo pochi anni dalla fine della guerra ultraventennale tra Nord e Sud che ha fatto milioni di morti e ha portato alla separazione del Sudan cristiano da quello musulmano.
Il mondo non può restare a guardare mentre in Darfur si sta consumando un altro massacro e deve impedire che la missione di pace dispiegata nella regione nel 2008 venga sospesa come chiesto dal presidente Omar Hassan al-Bashir.
Bisogna intervenire ora perché domani è troppo tardi.