Al Teatro Roma, Edoardo Vianello e Wilma Goich in concerto- Senza gossip e fanfare (che bello!)
Magari fossero solo canzonette: invece sono la moviola del nostro tempo e della nostra memoria che, come sapeva Roberto Vecchioni, “cambiano” spudorati “come cambia la pelle”, reinventandosi di nuove, mendaci “luminose come le stelle”. Anche se pure la sera in cui Edoardo Vianello e Wilma Goich tornavano ad esibirsi insieme, sul palcoscenico del Teatro Roma (al quartiere Tuscolano), “era notte a Roma” (Rossellini non muore mai), la gente rincasava con la coda tra le gambe e i telegiornali emettevano dispacci per nulla catartici del nostro inferno passato e presente: imbandito di migrantes, fondali mediterranei ad uso cimiteriale, sbandati e disoccupati che hanno smesso di sperare perché, pur se “sperare non costa niente” è inevitabile che, in breve, quel sentimento diventi “l’abitudine” che non salvò Luigi Tenco quella notte a Sanremo, sfarinandosi in briciole di mesta allegria che non hanno più proseliti tra quella “gente de borgata” (che Eduardo e Wilma intonano con velato entusiasmo) dispersa o intossicata nell’agro romano decompostosi sin dai tempi in cui vi vagabondava Pasolini (girandovi un calvario chiamato “La ricotta”).
Smettiamola con le elucubrazioni, le rimembranze, le antropologie del sabato sera. Non depone bene.
Pensiamo invece a dire tutto il meglio possibile di questa eccentrica coppia di professionisti che, a oltre trent’anni dalla loro separazione, tornano a cantare, duettare, stilettarsi con alto sentimento di professionismo e (auto)ironia -evitando come è bene che sia ogni cedimento alla sfera privata (il matrimonio, la figlia Susanna ormai quarantenne, la scelta dolorosa di andare per strade diverse)e semmai dimostrando come e quanto “la giusta distanza” dal tempo delle mele e dell’amore si distilli oggi in una perfetta osmosi di maturità diverse, complementari, mirabilmente affiatate. Non solo nei virtuosismi, nelle estensioni vocali, nei mix celebrativi di grandi successi scalanti (negli anni sessanta e settanta) ogni vetta dei Cantagiri e delle hit parades, ma in quel particolare modo di porgere parola, gestualità refrain alla maniera del grande ‘fantasismo’ musicale. Che in Italia ha solo un eccelso capostipite, il quartetto Cetra, cui i Vianella si accosterebbero, in un podio ideale, meritando medaglia d’argento e diritto alla futura memoria (unitamente all’augurio, davvero simpatico e sincero, di ‘lunga vita’ e ‘altre mille’ di queste serate). Approfittando, noi, dell’occasione per gettarla lì, senza eccessive speranze di fomentar dibattiti, la sempre sviata (o ‘sgridata’)
questione delle ‘canzone d’autore’ nel suo emisfero pop e folk: autorialità che smette di esser tale (per critici, sapientoni e studiosi) se varca i confini della ‘scuola genovese’, del Derby di Milano, della ‘piazza grande’ bolognese, del sempre fascinoso universo napoletano (tanto che la devozione per Murolo non è seconda a quella per Pino Daniele: ed è giusto).
E, puta caso, si sofferma tra le stornellate di Gigi Proietti (che ebbero, ai testi, un poeta civile come Roberto Lerici), sulla straziata raucedine del Franco Califano (“che dissipò il proprio talento”, invece se ne arricchì con dolore ed esperienze di vita), sull’irresistibile capacità del suddetto Vianello di farsi alfiere, menestrello, Cupido – smaliziato e ‘operativo in proprio’- di quelli che in molti (over sessanta) considerano ‘i migliori anni’ delle loro vite.- edulcorati da non pù concepibili, ‘travolgenti’ colonne sonore. E augurandoci che in pochi si lascino andare alle slavine della nostalgia e al rimpianto di un ‘come eravamo’ (quasi sempre tormentati adolescenti, come ci svelava Truffaut). Interrogandoci semmai, senza arrivare a univoca risposta, se ‘più creduloni o foderati di prosciutto agli occhi’ e disponibili ad una ‘bonarietà’ di sentimenti che sarebbe di lì a poco gloriosamente crollata con l’avvento di contestazioni, maggio francese e lotte a Valle Giulia: ridestati bruscamente da sogno liliale.
Dei Vianella torna ad imprimersi, ripeto, la provvida capacità di ‘prendersi sul serio’ nel solo limite dei rapporti con il pubblico, la ferma consapevolezza di essere ‘grandi entreneurs’ senza orpelli intellettuali o nazional-plateali: l’orgoglio di una, due carriere che si stemperano, oggi, nella mitigata spigolosità con cui Edoardo, da giovane, infiocchettava la sua iper-ego d’artista e ‘beniamino’ di belle guaglione. Unico cantante italiano ad aver fatto, della scansione del verso e della sillaba, una cifra espressiva.
E Wilma, donna deliziosissima, pimpante, fibrillante di presenza scenica. Adamatina, cristallina vocalità d’una ‘ragazza degli anni sessanta’ le cui colline non saranno più in fiore, ma nemmeno innevate da fastidioso inverno.
Sic stantibus rebus….. “Fate largo che sta passando la canzone popolare!”
Note biografiche e brani eseguiti durante lo spettacolo:
Edoardo Vianello, romano, cantautore celebre per i brani allegri e spensierati scritti insieme al paroliereCarlo Rossi negli anni ‘60 (come Il capello, Pinne fucile e occhiali, Guarda come dondolo, I Watussi, Abbronzatissima, Tremarella e Il peperone) e Wilma Goich, ligure di origine dalmata, nota a metà anni ’60 per frequenti partecipazioni al Festival di Sanremo (Le colline sono in fiore,Gli occhi miei) e per una canzone di Luigi Tenco da lei portata al successo (Se stasera sono qui),negli anni Settanta fondano la casa discografica Apollo, lanciano i Ricchi e Poveri,Franco Califano e formano il duo musicale I Vianella.
Hanno subito un buon successo con due canzoni in dialetto romanesco (Vojoer canto de ‘na canzone e Lella) nel 1971, ma entrano nei primi posti dell’hit parade nel giugno del 1972 con Semo gente de borgata, scritta da Franco Califano e Marco Piacente, con cui partecipano a Un disco per l’estate 1972, classificandosi al terzo posto.
Ottengono altri successi negli anni successivi con Fijo mio (scritta da Amedeo Minghi e Franco Califano), quarti aUn disco per l’estate 1973, con Vestiti usciamo e L’amici mia di Luciano Rossi, econ Canto d’amore di Homeide (tratto dal concept albumHomeide, di cui Minghi è autore delle musiche e Sergio Bardotti dei testi)con la quale conquistano il terzo posto a Canzonissima ’74.
Realizzano nove LP nei dieci anni della loro unione artistica, ma alla fine del decennio i due si separano, prima nella vita e, dopo pochi anni, nello spettacolo.
L’ultimo loro concerto risale al 1981, e mai più si sono esibiti in pubblico, salvo per l’apparizione al concerto del 21 aprile 2013 a piazza del Popolo a Roma in memoria del loro grande amico e collaboratore Franco Califano.