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Assassinio Falcone, nuovi particolari che fanno rabbrividire

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Le ultime deposizioni del “pentito” Vincenzo Sinacori durante il processo Capaci-bis, nell’aula bunker di Rebibbia, aggiungono nuovi particolari che fanno rabbrividire sul delitto che privò l’Italia e tutti noi di Giovanni Falcone. E aggiungono indicazioni di rilievo sui metodi con cui il capo dei capi, Salvatore Riina, governava in quel drammatico 1992, che decise a lungo i destini del nostro Paese, organizzò e attuò uno dei delitti decisivi nell’attacco al “cuore” dello Stato come si diceva allora, e i giorni prossimi in cui saranno ascoltati altri testimoni come Vito Lo Forte e Francesco Onorato. Ecco la confessione significativa di Sinacori:” Alla riunione di Castelvetrano alla fine del 1991, siamo andati io, Mariano Agate, i fratelli Graviano, Matteo Messina Denaro.

Riina ci dice che dovevamo cercare un aggancio a Roma, un certo Scarano. Dovevamo lì andare a cercare Falcone, Mauri zio Costanzo, Martelli(Claudio, all’epoca ministro della Giustizia)ed altri. Ma la priorità era Giovanni Falcone.” Sinacori era di Cosa Nostra dal 1981 è stato reggente del mandamento di Mazara del Vallo, dopo l’arresto del boss Mariano Agate insieme ad Andrea Mangiaracina. Seguace fedele di Matteo Messina Denaro, Sinacori è diventato dal ’96 “collaboratore” di giustizia ma non vuole spiegare le ragioni del suo “pentimento”. Per Falcone, precisa,” non c’era bisogno di spiegarmi i motivi dell’attentato dell’attentato perché Falcone “è stato sempre obiettivo di Cosa Nostra soprattutto dopo il maxiprocesso. “Riina si muoveva in tutti i sensi per cercare di sistemare il maxi-processo ,si sarà giocato tutte le carte. Io sono partito con mastro Ciccia (il boss Francesco Messina) per parlare con uno della Cassazione, un cancelliere che secondo me vendeva fumo e basta, che non era in grado di aggiustare niente.. Mi ricordo solo il nome, Paolo.”

E dopo la riunione di Castelvetrano “abbiamo avuto altri incontri a Palermo ,a casa di Salvatore Biondino(autista di Riina, come è noto)  e anche del fratello” a cui erano presenti anche Lorenzo Tinnirello (imputato in questo processo) e Fifetto Cannella. Durante l’ultima riunione prima di partire per Roma, racconta Sinacori, Riina parlò di gruppi da forma re di gruppi da formare “che dovevano dipendere solo ed esclusivamente da lui non dovevano dire niente ai capi-mandamenti, il rapporto doveva essere diretto con Riina qualsiasi cosa si facesse in Cosa Nostra.

Il mio gruppo era composto da Giuseppe e Filippo Graviano e Matteo Messina Denaro. A queste persone Riina fece il discorso. Per andare a Roma, dice Sinacori, “partii in aereo con Francesco Geraci. Io usai il mio cognome storpiato per prendere precauzioni, mica andavamo in gita.  Avevamo un appuntamento in un posto noto, credo Piazza di Spagna o Fontana di Trevi,poi siamo andati ad abitare da Scarano. Non so però dove dormisse Filippo Graviano.” Una volta a Roma il commando fece una serie di sopralluoghi ma facendo varie confusioni e scambiando il ristorante “Il Matriciano” per “La Carbonara” dove Falcone era solito andare. Le armi e l’esplosivo arrivarono a Roma con un camion partito da Mazara del Vallo.  A Roma il “gruppo di fuoco” aveva anche il sostegno di altri soggetti:” Sono andato a Napoli, a Marano a chiamare Ciro Nuvoletta e un certo Armando, uomini di onore di Cosa Nostra. Me li aveva presentati diretta mente Riina.

I Nuvoletta erano tutti affiliati a Cosa Nostra ma dipendevano solo da Riina.” Già emergono così due particolari a cui accennavamo prima: il capo dei capi non coinvolgeva i capi dei mandamenti nelle questioni più importanti e aveva affiliati di rilievo come i Nuvoletta camorristi, che dipendevano soltanto da lui all’interno di Cosa Nostra “. “Prima di andare a Roma, continua Sinacori, “erano venuti in Sicilia e in mia presenza Riina disse loro che se avevo bisogno dovevano mettersi a mia disposizione”. “A Roma facevo i sopralluoghi per Martelli insieme a Geraci ma l’unico obiettivo possibile era Costanzo perché usciva dai Parioli e faceva una strada dove era facile affiancarlo e sparargli. Non abbiamo mai incrociato Martelli né gli altri Falcone. Si decide di avvisare Falcone, dovevamo parlare con lui perché la priorità era Falcone. Scesi io che tra tutti ero il più pulito. Riina mi disse di sospendere tutto e scendere giù perché aveva altre cose più grosse per le mani. Io salgo a Roma, informo Matteo (Messina Denaro) e decidiamo di scendere (a Palermo, si intuisce). Le cose più grandi a cui accenna Riina potrebbero con tutta evidenza riguardare ancora una volta riguardare rapporti e “trattative” tra uomini della politica e boss di Cosa Nostra ma su questo aspetto c’è ancora da sapere altro.


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