Intercettazioni telefoniche: il Garante della privacy scende in campo e chiede al Governo una legge che difenda la dignità delle persone non coinvolte direttamente nelle inchieste giudiziarie. Il professor Soro ha scritto una lettera al premier Renzi. Preoccupato l’Ordine dei giornalisti.
Il Garante osserva nella lettera che il diritto alla riservatezza, che la Costituzione garantisce ai cittadini, appare “ sempre più soccombente in un contesto di generale mediatizzazione dei processi, che altera profondamente tenuta e senso della disciplina vigente. È pertanto necessario un riequilibrio nei rapporti tra esigenze investigative, informazione e riservatezza, che garantisca a quest’ultima una più adeguata tutela”. Non è in discussione l’intercettazione delle telefonate durante le indagini di polizia giudiziaria, ma la pubblicazione del loro contenuto da parte dei mass media, in molto casi, secondo Soro, del tutto ingiustificato.
Nella lettera il Garante sembra favorevole ad una “adeguata selezione delle notizie da diffondere” ed afferma che questa “ dovrebbe rispondere a finalità di interesse pubblico e non a tensioni voyeuristiche, nella consapevolezza che non tutto ciò che è di interesse del pubblico è, necessariamente, anche di pubblico interesse”. La conseguenza è una vera e propria gogna mediatica – dice il Garante – provocata da “chi confonde il doveroso esercizio del diritto di cronaca con il sensazionalismo o lo sguardo “dal buco della serratura”.
Soro ricorda che il tentativo di migliorare il codice dei giornalisti si è interrotto per volontà dell’Ordine. Ciò lo spinge a dire che a questo punto si amplia “ di conseguenza, l’ambito di intervento del legislatore”.
L’Ordine nazionale dei giornalisti ha risposto con una nota, in cui si dice lieto che il Garante sia uscito dal suo silenzio, ma stupito che ciò sia avvenuto dopo la pubblicazione di intercettazioni riguardante due uomini politici. Ricorda di aver respinto i tentativi di approvare norme deontologiche più restrittive e afferma l’esistenza da parte dei cittadini di un “diritto elementare: sapere la verità su fatti che sono di interesse pubblico, rappresentino o meno un reato”.
Questo il testo della lettera che Antonello Soro ha scritto al Presidente del Consiglio, Matteo Renzi.
Illustre Presidente,
Le scrivo in relazione al disegno di legge governativo AC 2798, e, in particolare, ai criteri di delega per il rafforzamento delle garanzie di riservatezza nell’ambito della disciplina delle intercettazioni. È un tema di grande rilevanza, in quanto disegna i rapporti tra alcuni presupposti essenziali di un sistema democratico: diritto di (e all’) informazione; esigenze di giustizia e sicurezza; pubblicità del processo e segreto istruttorio; riservatezza delle parti e dei terzi, a qualunque titolo coinvolti nel procedimento.
Quest’ultimo diritto (presupposto ineludibile di quella dignità umana su cui si fonda la nostra Costituzione) è, oggi, sempre più soccombente in un contesto di generale mediatizzazione dei processi, che altera profondamente tenuta e senso della disciplina vigente. È pertanto necessario un riequilibrio nei rapporti tra esigenze investigative, informazione e riservatezza, che garantisca a quest’ultima una più adeguata tutela.
Di fronte al fenomeno, sempre più diffuso, del processo mediatico, emerge con forza l’esigenza di un’ adeguata selezione delle notizie da diffondere. La pubblicazione di atti di indagine dovrebbe rispondere a finalità di interesse pubblico e non a tensioni voyeuristiche, nella consapevolezza che non tutto ciò che è di interesse del pubblico è, necessariamente, anche di pubblico interesse.
Ciò vale soprattutto per le intercettazioni: risorsa investigativa fondamentale, ma che – proprio in quanto fortemente invasiva – deve essere gestita con molta cautela. Sia da parte degli organi inquirenti (per evitare fughe di notizie che pregiudichino le indagini, oltre che la privacy degli interessati), sia da parte della stampa, che dovrebbe evitare quel “giornalismo di trascrizione” che finisce, oltretutto, per far scadere la qualità dell’informazione.
Il Garante per la protezione dei dati personali si è occupato di entrambi i profili.
Da un lato infatti ha prescritto, sia alle Procure della Repubblica che ai gestori telefonici, l’adozione di alcune essenziali misure di sicurezza idonee a garantire uno standard omogeneo di tutela dei dati personali acquisiti con le intercettazioni. E questo, a garanzia tanto della dignità delle parti e dei terzi coinvolti nel procedimento, quanto del segreto istruttorio e, dunque, dell’efficacia delle indagini.
Dall’altro lato, abbiamo cercato di garantire che il coinvolgimento a qualsiasi titolo in un procedimento non diventi la ragione, per se stessa sufficiente, per esporre la parte o il terzo a una gogna mediatica che confonda il doveroso esercizio del diritto di cronaca con il sensazionalismo o lo sguardo “dal buco della serratura”. Abbiamo, quindi, adottato provvedimenti di blocco per impedire violazioni (ulteriori) della dignità in casi specifici di cronaca giudiziaria, sia riguardo ai terzi incolpevoli, sia rispetto a indagati di cui si è scandagliata (anche sui giornali) l’intera vita, in particolare di relazione, senza alcuna connessione con le esigenze probatorie. Ma abbiamo anche promosso una riforma del Codice deontologico dei giornalisti (risalente ad ormai diciassette anni fa), volta a valorizzare, sulla scorta dei principi sanciti dalla Cedu e dalla Corte di giustizia, la funzione di vaglio critico dell’autore rispetto a notizie di reale interesse pubblico.
La scelta dell’Ordine di non voler concludere questo percorso di riforma – a partire da norme, quali quelle deontologiche, che proprio per la loro maggiore capacità di introiezione sono anche maggiormente effettive – amplia, di conseguenza, l’ambito di intervento del legislatore.
Auspico, pertanto, che Parlamento e Governo vogliano farsi carico di quest’esigenza, coniugando gli aspetti della correttezza e lealtà dell’informazione e della riservatezza nelle indagini, nel rispetto del principio di proporzionalità tra privacy e mezzi investigativi ribadito, anche recentemente, dalla Corte di giustizia, per evitare quella “pesca a strascico” nelle vite degli altri in cui degenera l’utilizzo indiscriminato delle intercettazioni. Va quindi garantita – eventualmente anche rimodulandone le scansioni temporali – una più puntuale selezione del materiale investigativo, assicurando, nel doveroso rispetto dei diritti della difesa, che negli atti processuali non siano riportati interi spaccati di vita privata (delle parti ma soprattutto dei terzi), del tutto estranei al tema di prova.
Si tratta di un passaggio importante. E’, infatti, anche sulla garanzia della privacy che si misura, oggi più di ieri, la qualità della nostra democrazia, tanto più in un ordinamento, quale il nostro, fondato sul primato della persona umana.