A mano a mano che si va avanti, la tragedia dei migranti cresce. Tra l’11 e il 14 aprile nel Canale di Sicilia ci sono stati venti sbarchi in quattro giorni. In totale ci sono sta ti 5872 migranti e tanti altri son destinati ad arrivare nei prossimi mesi. Senza dimenticare che tanti muoiono e la tragedia nel Mediterraneo può ancora crescere. Questo è il prologo dell’estate di cui nel 2014, secondo i dati dell’Eurostat, i morti sono stati 174 mila e 100 mila hanno poi lasciato il Paese. Il Commissario dell’Unione Europea Avrampoulos ha promesso di mandare più aiuti all’Italia e il 24 aprile vedrà a Milano il ministro dell’Interno Angiolino Alfano. A sua volta la portavoce della Commissione Europea ha dichiarato che non sarà possibile implementare i fondi per il pattugliamento e le missioni di salvataggio. A questo si aggiunge la gestione dei richiedenti l’asilo.
Il prefetto Mario Morcone, capo del Dipartimento Immigrazione al Viminale ha inviato una circolare ai suoi colleghi in tutta Italia di recuperare in fretta e furia 6500 posti di accoglienza per i nuovi profughi. Ogni anno c’è in Italia il collasso del sistema di accoglien za. D’altra parte ,il potenziamento del 2014 non ha evitato una serie di infrazioni nella possibilità di richiedere asilo in Italia. Si può andare avanti a questo modo nella politica sull’immigrazione? Mi pare proprio di no ed è il caso di aggiungere, a scanso di equivoci, che né interventi militari solitari o di spedizioni rafforzate dall’appoggio finanziario o anche militare delle Nazioni Unite, di cui si parla molto di questi tempi, sia in grado di modificare in maniera adeguata la situazione che si è ormai determinata.
Che cosa si può fare di fronte alla tragedia che sembra destinata nei prossimi mesi e settimane a diventare molto più pesante e catastrofica di quanto è apparsa fino ad oggi? Le risposte non a caso tardano ad arrivare e l’angoscia non solo delle famiglie dei migranti ma anche degli osservatori che guardano da lontano quello che sta per avvenire è in continuo aumento. Tra i tanti ,forse troppi commenti che mi è accaduto di leggere sui quotidiani di mezzo mondo(con netta prevalenza di quelli americani, inglesi e tedeschi su quelli italiani particolarmente poveri di idee)mi ha colpito tra quelli più chiari e limpidi nel ragionamento l’editoriale di Lucio Caracciolo su la Repubblica di oggi che consente, a mio avviso ,di cogliere bene il centro della questione. Scrive il direttore di Limes, una rivista come Internazionale che i politici miei amici farebbero bene a leggere in maniera costante:” Il governo è sotto pressione.
E’ scattata la sindrome del “bisogna fare qualcosa” contro la quale lo stesso Obama ha messo in guardia Renzi. In chiaro: intervenire stivali su terra nella guerra di mafie che sta investendo l’ex Libia,spazio di nessuno conteso dai clan indigeni e dai loro sponsor esterni(Egitto ed Emirati Arabi Uniti in testa sul fronte cirenaico, Qatar e Turchia in secondo piano su quello tripolitano),è follia che ci viene sconsigliata dall’alleato di riferimento, gli Stati Uniti. Anche perché, stanti le risorse a disposizione delle nostre Forze Armate e di quelle degli eventuali “volenterosi ” associati ,europei e arabi, presto dovremmo rivolgerci agli americani per carenza di mezzi, benzine e munizioni….Sotto il capitolo “gestione della crisi” si possono invece promuovere azioni utili ad alleviare la pressione migratoria. E soprattutto a proteggere la vita di chi fugge dalle guerre. Per esempio: convincere, mettendo mano al portafoglio i pochi Stati più o meno agibili che ancora esistono lun go la frontiera Sud del Mediterraneo ad accogliere i centri umanamente decenti alcune decine di migliaia di migranti, dei quali una buona parte saranno rifugiati ai quali dovremo garantire il diritto di venire ordina tamente da noi. Anche andando a prenderli, usando mezzi e modi civili. Con la Tunisia lo stiamo provando, con l’Egitto l’abbiamo tentato per ora senza fortuna…Alla fine, non potremo però sfuggire al dovere di accogliere.” Già questo è la conclusione dell’articolo di Caracciolo a cui non posso che ora associarmi.