Settant’anni fa, in Italia avvenne una svolta: una pagina della storia del paese si chiuse ed un’altra se ne aprì, che dura tuttora. Una lotta di popolo, la guerra partigiana, contribuì a cacciare dal paese le truppe straniere del terzo Reich, conquistò per il popolo italiano il diritto alla libertà e gli restituì l’onore avendo riscattato con la sconfitta ed il ripudio definitivo del fascismo l’onta delle leggi razziali. Fu una guerra di popolo. In essa si trovarono uniti contadini ed operai, ceti medi, borghesi, intellettuali ed incolti, atei e credenti, cristiani ed ebrei, forse anche qualche musulmano. Tutti si batterono per aver sperimentato che senza libertà non c’è giustizia, nemmeno dignità e la stessa vita è svilita.
Di quella svolta la giornata del 25 aprile è stata eletta a simbolo e la canzone del partigiano è divenuto inno alla libertà. Viene cantato per questo anche da altri popoli, quando resistono ad un occupante, si ribellano ad un oppressore, lottano per la propria libertà. L’abbiamo sentita cantare in italiano da albanesi, greci, palestinesi; e pure in yiddish.
In questi settant’anni abbiamo imparato che la libertà non basta conquistarla una volta; va difesa ogni giorno, perché spunta sempre qualcuno che prova a sottrarla o almeno a limitarla. Abbiamo imparato che neppure basta aver ripudiato il fascismo una volta, perché rigurgiti ne riemergono ovunque e bisogna combatterli affinché non attecchiscano. “Ora e sempre Resistenza” diciamo, per ricordarcelo.
Abbiamo anche imparato che i diritti non sono divisibili: o tutti li hanno e ne godono, oppure sono a rischio anche quelli di chi li ha conquistati. Lo Statuto dell’Anpi, non senza motivo, stabilisce all’articolo 2 che l’Associazione ha tra l’altro lo scopo di “mantenere vincoli di fratellanza tra partigiani italiani e partigiani di altri paesi;” e di “dare aiuto e appoggio a tutti coloro che si battono, singolarmente o in associazioni, per quei valori di libertà e di democrazia che sono stati fondamento della guerra partigiana e in essa hanno trovato la loro più alta espressione”. Proprio in questi giorni il presidente della Sezione Provinciale di Roma, Ernesto Nassi, lo ha ricordato dalla pagine de il manifesto rimarcando “la vicinanza (dell’Associazione) con i popoli che lottano per la propria libertà”.
La ricorrenza del 25 aprile non si risolve dunque soltanto nella commemorazione di ciò che accadde settant’anni fa e nell’onorare la memoria dei caduti della Resistenza, ma è la celebrazione dei valori per i quali i partigiani combatterono ed a migliaia morirono: l’antifascismo, la libertà, la giustizia. Valori che in Italia vanno riaffermati e difesi anche oggi, mentre altrove, come in Palestina, si sta lottando per conquistarli. Non possiamo né vogliamo perciò celebrarli da soli; sappiamo che se libertà e giustizia non l’hanno tutti i popoli, si indeboliscono anche da noi.
A Roma, dopo settant’anni da quel fatidico 25 aprile, è in atto un dibattito intorno al quesito su chi sia legittimato per la propria storia e per il proprio presente a partecipare alle celebrazioni. E’ sorto a seguito della decisione prima dell’Aned e poi della Comunità Ebraica Romana di non parteciparvi.
Tra le motivazioni se ne sono avanzate alcune che solo eufemisticamente possono dirsi inesatte. Si sostiene infatti che nell’assemblea indetta dall’Anpi il 30 marzo scorso per discutere appunto della partecipazione al corteo di quest’anno, vi sia stata da parte della rappresentanza della Comunità Palestinese di Roma e delle associazioni romane solidali con la causa del Popolo Palestinese una forte opposizione giunta sino alle minacce contro la partecipazione al corteo del vessillo e della rappresentanza della Brigata Ebraica nonché della Comunità Ebraica Romana. Non è stato così
E’ necessario fare chiarezza. Non vi è stata alcuna opposizione, tampoco minacce, alla partecipazione della Brigata Ebraica e a nessuno è venuto neppure in mente di mettere in discussione la partecipazione degli Ebrei alle celebrazioni del 25 aprile. E’ stato anzi unanime il riconoscimento della partecipazione della Brigata Ebraica alla Guerra di Liberazione e della partecipazione di tantissimi ebrei nelle formazioni partigiane. Per l’Ebraismo vi sono state espressioni di rispetto e per la Comunità Ebraica Romana, che ha pagato un prezzo altissimo alla nefandezza delle leggi razziali, è stata manifestata una grandissima considerazione.
Ciò che invece si è contestato e a cui ci si oppone è tutt’altro. E’ che attraverso vari espedienti si tenti di rendere presente alle celebrazioni del 25 aprile anche lo Stato di Israele. I motivi dell’opposizione sono evidenti. Cosa ha a che vedere questo Stato con la Resistenza e i suoi valori di giustizia e di liberta?
Occupa da decenni illegittimamente territori non suoi, tiene sotto occupazione la popolazione palestinese della Cisgiordania, assedia la Striscia di Gaza nella quale 1.800.000 palestinesi sono ridotti come in prigionia e vengono periodicamente massacrati, incarcera per motivi politici nelle proprie prigioni oltre 7.000 palestinesi, gran parte dei quali in regime di “detenzione amministrativa” (cioè senza processo e senza formulazione dei capi d’accusa) di cui molti sono minorenni; si appropria delle risorse (terra ed acqua) palestinesi. Tutto ciò è in aperta violazione del diritto internazionale, tant’è che Israele è stato condannato da 87 risoluzioni dell’Onu, da sentenze di Tribunali e da Risoluzioni del Parlamento Europeo, mentre la Corte Penale Internazionale ha avviato una indagine a suo carico. Come si può pretendere la presenza del suo vessillo nel corteo del 25 aprile, come di fatto vorrebbe l’Associazione Amici di Israele?
Uno Stato che nega la libertà ad un altro popolo tenendolo sottomesso con la forza delle armi è di per sé estraneo ai valori della Resistenza.
Questo è il punto di contrasto. Questo e non altro. Il 30 marzo nell’Assemblea dell’Anpi è emerso con chiarezza. Essendo stato finalmente possibile sia per la Comunità Palestinese di Roma sia per le associazioni solidali con la causa palestinese presentare in un confronto pubblico le proprie posizioni, tutti hanno potuto constatare che tanto la prima quanto le seconde nulla hanno contro l’Ebraismo, gli Ebrei e la Comunità Ebraica Romana, e molto solo contro lo Stato di Israele. Nessuno ha perciò potuto fare ricorso alla trappola dell’asserita coincidenza tra antisionismo ed antisemitismo ed è risultata infondata e pretestuosa la pretesa dei governanti israeliani e delle organizzazioni filoisraeliane di considerare Ebrei, Ebraismo e Stato di Israele come un tuttuno.
La decisione dell’Aned e della Comunità Ebraica Romana di disertare il corteo del 25 aprile – decisione di cui nessuno gioisce, ma anzi che addolora e preoccupa – è maturata in questo contesto. E’ bene ribadirlo.