Sono ormai molti, e qualcuno direbbe persino troppi saggi e repertori dedicati al problema dei media e dell’opinione pubblica, (tra i quali devo ricordare almeno quello pubblicato in Italia soltanto nel 1995), cioè molti anni dopo la sua pubblicazione negli Stati Uniti, per scelta mia e dell’allora giovane editore Donzelli che si intitola appunto “L’opinione pubblica” e consente ancora di qualsiasi altro testo (un precedente era stato in Italia un libro di Ignazio Weiss sullo stesso argomento delle edizioni olivettiane di Comunità ) di immaginare e delineare una teoria democratica dei mezzi di comunicazione di massa, cioè in grado di consentire a una grande massa, e per così dire, alla maggioranza dei cittadini di uno Stato o, come precisava l’autore, di una repubblica di essere destinatari di tutte le notizie che riguardano la popolazione e quindi anche se stesso, la sua famiglia e i suoi amici.
Ma il nostro è un Paese nel quale è sempre più arduo divenire al corrente in modo limpido e soddisfacente di quel che si decide nelle istituzioni pubbliche da parte di quelli che hanno maggior potere di determinarlo. Se ne ha la più chiara dimostrazione sfogliando il saggio di un economista come Michele Polo che fa parte del gruppo di studiosi che anni fa ha dato vita al sito la voce.info e che qualche anno fa, precisamente nel 2012, che ci sembra tanti anni fa che tuttavia sono soltanto tre, ha tracciato in un piccolo libro pubblicato dal Mulino una fotografia molto somigliante della situazione italiana. Polo nota in primo luogo che due grandi fenomeni hanno modificato il nostro sistema televisivo: abbiamo due concorrenti più o meno sullo stesso piano che sono la Rai e Mediaset e un terzo concorrente che dispone di mezzi maggiori e fa sì che l’offerta di informazione aumenti ma che alla fine resti riservata soltanto a quelli che hanno i mezzi (e sono una minoranza) per approfittarne. Ma l’assenza della banda larga-tuttora latitante nel nostro Paese e il cattivo stato di salute dei giornali (che si sentono colpiti dalla caduta degli investimenti pubblicitari e dalla diffusione, che è in crescita, degli effetti della diffusione di Internet e delle notizie on line. La verità, come ha commentato Polo nel suo saggio, è che “la crisi economica ha eroso l’equilibrio economico dei giornali tradizionali ma, nello stesso tempo, si è verificata un’evoluzione, legata al mondo di Internet che ,in modo strutturale, ha minato la sostenibilità del loro modello economico. Proprio partendo da qui possiamo parlare del futuro. E quello che immagina l’economista de la voce.info non è molto piacevole perché coglie la tendenza a non favorire il maggiore pluralismo ma piuttosto a veder “proliferare prese di posizione fortemente partisan” che si contrappongono e creano difficoltà di confronto tra parti lontane piuttosto che creare il pluralismo che è necessario in ogni repubblica. Ecco questa è la lezione che nasce dallo sviluppo della comunicazione di ogni genere nell’attuale universo mediatico di cui facciamo parte ed è il caso che proprio oggi che festeggiamo la festa della Liberazione dalle dittature del ventesimo secolo cerchiamo di tener conto per quello che potremo fare in futuro come cittadini e per chi è in assemblee rappresentative o istituzioni come operatori politici e culturali.