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Tunisia, dimezzata la condanna al “blogger diffamatore”. Ma non basta

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Il 3 marzo una corte marziale d’appello ha ridotto della metà la condanna a un anno di carcere inflitta il 20 gennaio al blogger tunisino Yassine Ayari (nella foto), giudicato colpevole di aver diffamato l’esercito attraverso il suo profilo Facebook. Le organizzazioni per i diritti umani giudicano quello di Ayari un ulteriore caso di violazione della libertà d’espressione nella ‘nuova’ Tunisia, uno dei paesi che quella libertà hanno pubblicamente esaltato dopo la strage di Charlie Hebdo a Parigi. Per i suoi denigratori, Ayari non è altro che “un cyber-collaboratore prestato al salafismo”. Accusa insostenibile per il figlio del colonnello Tahar Ayari, che nel maggio 2011 fu ucciso a Rouhia in un attacco armato di Al  Qaeda nel Maghreb islamico.

Ayari, 33 anni, già perseguitato sotto il regime di Zine El Abidine Ben Alì, era stato arrestato all’aeroporto di Tunisi il 24 dicembre 2014, di ritorno da un viaggio a Parigi. Lo attendeva, a sua insaputa, una condanna a tre anni inflittagli un mese prima in contumacia. La condanna si era basata su una serie di post pubblicati da Ayari sul suo profilo Facebook ad agosto e settembre, contenenti critiche e accuse nei confronti di Nidaa Tounes (il partito che avrebbe poi vinto le elezioni parlamentari di ottobre e le presidenziali di dicembre) e soprattutto di alti funzionari del ministero della Difesa e dello stesso ministro, Ghazi Jeribi.

Il 20 gennaio il nuovo processo, stavolta alla presenza dell’imputato, e la condanna a un anno dimezzata ieri. Amnesty International continuerà a chiedere che Ayari sia scarcerato senza condizioni. L’articolo 91 del codice di giustizia militare punisce con un massimo di tre anni di carcere gli attacchi alla reputazione, alla dignità e alla moralità delle forze armate, le azioni che minacciano la disciplina militare, l’obbedienza e il rispetto verso i superiori nonché le critiche che possano ledere l’autorità e la dignità dei comandanti dell’esercito.

Quello di Ayabi non è un caso isolato. Lo scorso novembre Sahbi Jouini, dirigente di un sindacato di polizia, è stato condannato in contumacia a due anni di carcere dopo che aveva accusato l’esercito di non aver saputo utilizzare adeguatamente alcune informative riguardanti il terrorismo. Altre condanne sono state emesse nel 2013 e nel 2012.


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