Con la sua marcia su Roma anche Matteo il Salvini ha superato l’esame di semiotica, la scienza esatta del “non il dire-vero, ma il sembrare-vero”. Salvini sta a Grillo come Renzi sta a Berlusconi. S’assomiglian -e si piglian- tutti i quattro del gioco dell’oca, ma sedicenti 4 evangelisti che altro non fanno se non limitarsi a succedersi, ma stando bene accorti a modificare le narrazioni secondo le precise regole della semiotica del testo adottando significanti d’effetto. Sono rottamazione/rivoluzione/fonzie&selfie anziché forzaitalia/wlafiga/partito dell’ammore da secolo scorso, sono tombini di ghisa/dajealnegher anziché scatolette di tonno/noajussoli ma il sistematizzato “ghe pensi mi” che li accomuna rimane vivo, vero e sempre in movimento.
Nel binomio R-B la rivoluzione (anzi per Renzi è diventata poi evoluzione) s’è notata meglio, primo perché i due sono pari grado siccome capi di governo, e poi perché B, mantenendo (ufficialmente) lo scettro per almeno due epoche, è diventato storico enunciatore del fenomeno. Nel duo Grillo-Salvini si avverte con meno impatto perché il primo è riuscito in breve tempo e in un colpo solo a far saltare in aria tutta la sua santabarbara (strategicamente ben rifornita: peccato) e il secondo ha così potuto velocemente raccattarne i pezzi, infilarseli nelle felpe e t-shirt per ridistribuirli alle genti con qualche moltiplicazione di vaffan&fasci che (evidentemente) non bastan mai.
E come dice il sommo (mi perdoni maestro Eco per la sintesi grossolana) il testo è sempre una macchina pigra. E’ il lettore che riesce a smuoverla, ma perché il lettore possa cogliere il significato del testo deve sapere leggere e scrivere, essere competente nella materia e possedere la capacità d’interferire. Non esercitando il diritto (dovere) d’essere lettore, subiamo le narrazioni di chi ben sa tentare e sedurre da sembrarci vero! Bingo.