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Se la politica è fatta sui media

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Sarà così, come scrive nel suo “caffè di primavera” Corradino Mineo. “Il premio al primo turno alla lista che totalizzi il 40% dei voti  trasformerà i partiti in comitati elettorali di un leader: è lui che vince, lui il testimonial, sua la faccia su cui si scommette”. Ma ammettiamolo, prima che di una legge elettorale, il leaderismo è il prodotto di una politica che si affida completamente al potere mediatico e indirettamente alla logica pubblicitaria che lo alimenta e lo governa. Gli interessi alla base dei due poteri, profitto commerciale e popolarità, coincidono e il risultato è la “casta”. In questo quadro, che il ministro Lupi abbia presentato le dimissioni a Bruno Vespa prima che a Mattarella è assolutamente normale.

I tweet e gli slogan della politica politicante sono, come i titoli dei giornali e delle news televisive, parenti stretti degli spot pubblicitari. La banalizzazione di una realtà complessa, che gli editorialisti analizzano per una fascia ristretta di lettori,  è il pane quotidiano dell’elettore medio che ha poco tempo per leggere e approfondire  ma crede di saperne abbastanza per “tifare” davanti a un talk show. Qui il protagonismo più o meno “urlato” dei soliti noti  fa “piazza pulita” di questioni complicate e complesse. Chi è più bravo a polemizzare, sfruttando l’ignoranza diffusa, sarà vincitore e leader. “Scommettere su una faccia” è certamente più facile che puntare su un progetto.

Come se ne esce? Si può rovesciare il rapporto, riportare al centro dell’attenzione la complessità del reale, quelli che si definiscono “probblemi della ggente” ma che poi restano sullo sfondo di questo o quel personaggio politico? Io credo che non si possa fino a che non ci libereremo di questa post-democrazia plebiscitaria e non riporteremo sul trono cultura e competenza. Fino a che dignità, qualità e autonomia della professione giornalistica saranno ancora subordinate alla logica commerciale. E fino a che la selezione della classe dirigente, nelle istituzioni come nei partiti, nella pubblica amministrazione  ma anche in molte aziende private, si farà per cooptazione dall’alto in base alla fedeltà e non al merito.

Lo si potrà fare aprendo lo spazio mediatico a “coalizioni sociali” o al dibattito interno a partiti non più “stato-centrici”, radicati e diffusi nel territorio, un po’ sul modello delineato da Barca.  Dove lo studio e il lavoro nei circoli, il pensiero e l’azione  dei cittadini abbiano un ruolo ben più significativo della croce sul simbolo elettorale o della coda al gazebo


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