Il Governo non ha ancora deciso che riforma della Rai vuole portare in discussione in Parlamento. Per ora si è limitato a linee guida che non possono soddisfare quanti avevano visto nelle dichiarazioni del Presidente del Consiglio quel segnale di novità a lungo sperato: fuori i partiti dalla Rai. Renzi, infatti, aveva colto nel segno dicendo che l’intenzione del Governo era quella, innanzitutto, di escludere dalla gestione della Rai il controllo dei partiti. Peccato che di quel segnale si sia persa traccia nelle linee guida.
Far eleggere il CdA metà dal Parlamento e metà dal Governo (più un amministratore delegato) non è che sia un grande cambiamento. I partiti resterebbero alla base dell’investitura del CdA Rai e del Capo dell’azienda, uomo di fiducia del Ministero dell’economia. Non è forse vero che il Governo è composto dai partiti di maggioranza?
Dopo tutte le prove che abbiamo avuto su quello che i partiti sono stati capaci di fare con lo strapotere di cui sono stati investiti nella Rai e fuori della Rai come si fa a riproporre lo stesso schema?
È vero che le linee guida prevedono che un rappresentante dei dipendenti entri a far parte del CdA, ma qui il tiro è andato fuori bersaglio. Se il problema era che il governo della Rai dovesse rispecchiare la molteplicità delle componenti culturali, sociali, politiche, artistiche, di opinione che compongono la società, la risposta non può essere “mettiamo dentro un rappresentante dei dipendenti e abbiamo risolto il problema”. La soluzione offerta dalle linee guida è puramente aziendalistica e, quindi, non risolve nulla.
No, il problema rimane e, a voler essere puntuali non riguarda nemmeno la gestione della Rai e il CdA che la deve condurre. Riguarda il servizio pubblico del quale si è smarrita la centralità. Di servizio pubblico si dovrebbe discutere di più perché la governance della Rai e la fonte di nomina dei suoi amministratori dipende dalla missione di cui viene incaricata.
La Rai non è un’azienda come le altre. Non fa automobili, tubi, ponti palazzi. Fa informazione, intrattenimento, spettacolo, arte e cultura. E lo fa per tutti, non per guadagnare, ma per assolvere ad una missione di interesse generale. Fa parte del mercato (che esiste già e non c’è bisogno di vendere un pezzo della Rai per crearlo), ma non ne dipende e non lo domina. Per questo il servizio pubblico dovrebbe essere interpretato da tutti coloro cui è destinato e dai quali trae ispirazione. Un compito piuttosto complesso che richiede soluzioni all’altezza. Lasciare che tutto continui ad essere deciso con i rapporti di forza tra partiti di governo e di opposizione significa ignorare il problema, far finta che in questi anni non sia accaduto nulla. È indispensabile che a presiedere al servizio pubblico sia un organismo di garanzia che vada molto oltre la rappresentanza dei partiti.
Per ora non si sa se e cosa cambierà rispetto alle linee guida, ma la speranza è che il confronto parlamentare produca un buon risultato. MoveOn ha lavorato per anni, insieme a tante altre organizzazioni della società civile, a professionisti ed esperti, sulla riforma della Rai. Una proposta è stata definita e, grazie all’iniziativa di alcuni parlamentari, sarà in discussione in Parlamento nelle prossime settimane. L’impegno di MoveOn e di quanti si sono battuti per una vera riforma non finisce qui. Continuerà a sostegno dei principi irrinunciabili perché si possa parlare di servizio pubblico radiotelevisivo
* per MoveOn Italia