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RaiWay: l’assurdo patto

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Mentre si celebra – con tanto di cerimonia mediatica- la (contro)riforma della Costituzione, è in corso un’altra modifica materiale della Carta nel mondo della comunicazione. La sfera di competenza sulla Rai sembra tornare al potere esecutivo, peggiorando persino la legge Gasparri. Insomma, via i partiti, ma dentro con due scarpe il governo. Tuttavia, è un po’ strano questo governo. Pare ergersi a deus ex machina nella futura governance dell’azienda pubblica, ma sulla vicenda dell’Opas di “Ei Towers” su “RaiWay” ha avuto una prudenza che neanche Don Abbondio. E sì, perché l’annuncio dato nelle prime ore dello scorso mercoledì 25 febbraio dell’Offerta ha avuto una risposta ufficiale da parte del Ministro dell’Economia solo la successiva domenica 1° marzo. Come mai? Ci sarebbe materia per il tenente Colombo, che sui particolari ricostruisce l’architettura di una trama complessa.

Quel prolungato silenzio ha verosimilmente due ragioni. La prima è l’esiguità della barriera giuridica presente nella normativa, che indubbiamente non fu pensata per reggere un ipotetico attacco di mercato. Ecco il punto. Tant’è che la sottile linea rossa è costituita da un DPCM, che di per sé non ha la forza di una fonte primaria. E, quindi, la barriera alzatasi tardivamente è una scelta legittima, ma non certo sufficiente nel casinò borsistico. E poi, vi è il ragionevole dubbio che la sicumera di Mediaset/Ei Towers si poggiasse su qualche pour parler, patto del Nazareno a parte. Le chiacchiere con il Biscione durano da vent’anni. Ancora ieri il sottosegretario Giacomelli ripeteva che “diventa molto difficile e scorretto affrontare una discussione che possa disturbare l’iter dell’operazione”. Governo Giano bifronte? Si vuol prendere la Rai solo nella corteccia mediatica (dove i due Matteo –Renzi e Salvini-  hanno il Guinness dei primati), lasciando il corpo dell’impresa al mare periglioso del capitale finanziario? Sembra la metafora della politica di quest’età: potente e prepotente nel suo campo giochi, subalterna e fragile laddove la Storia e il Capitale procedono sul serio. Tant’è che l’ipotesi di cui ora si parla insistentemente è quella di un accordo tra le due aziende degli impianti, al di là delle maggioranze societarie. Ma, forse, era proprio l’obiettivo vero, “trainato” e “distratto” dal luccichio dell’annunciato assalto di Borsa. Naturalmente, si è in attesa delle valutazioni conclusive delle Autorità competenti -Consob, Antitrust, Agcom- che aspettiamo con religiosa pazienza.

Sullo sfondo si muove il monopoli della nuova stagione della società dell’informazione, in cui il testimone sta passando dalla televisione alla rete. Insomma, che il servizio pubblico perda colpi nei punti alti non crea soverchi patemi a chi pure vorrebbe sedersi nella cabina di regia dell’apparato pubblico. E allora? Di che riforma si parla, se le decisioni reali passano altrove? E che avrebbe detto l’ex direttore generale plenipotenziario Ettore Bernabei, che ha scritto molte pagine del vecchio e riverito monopolio di Stato? Probabilmente un no secco e immediato. Per di più, nell’oppressivo clima del conflitto di interessi. Di cui si parla solo nel dì di festa. Quando si fa sul serio, mai. Insomma, c’è qualcosa che sfugge in una sceneggiatura troppo prevedibile, troppo plateale, troppo banale. Per essere vera. Nel suo affascinante “I valori e le regole” (2014), Franco Rositi dedica un capitolo alla “Tolleranza della menzogna nella scena pubblica”. E dice che è l’indice di una democrazia a grado zero. Ci siamo?

* Fonte: “il Manifesto”


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