Il nostro Paese è noto in tutto il pianeta per una specialità piuttosto spiacevole ma che si ripete puntualmente negli ultimi anni: si fa qualche passo avanti e poi si ritorna puntualmente indietro. Ed è quello che, a giudicare dalle scarne anticipazioni di ieri, sta per succedere al servizio pubblico della RAI incominciato quarant’anni fa e proseguito in mezzo a difficoltà di ogni genere e allo sciagurato ventennio populista inaugurato nel 1994 dal l’imprenditore di Arcore. Nel 1975 come alcuni – mi illudo – ricorderanno ,le competenze sull’azienda pubblica radiotelevisiva, passarono dal potere esecutivo al parlamento. “Il vecchio monopolio di Stato a baricentro democristiano (sia pure con qualche spazio che la Dc lasciava anche agli altri) – ha commentato a ragione il senatore Vincenzo Vita che conosce bene il problema – divenne così il servizio pubblico italiano.
Certamente non furono rose e fiori. No, l’agognato pluralismo degenerò nella ruvida lottizzazione partitica. L’allora “pentapartito” fece la parte del leone, lasciando fuori dal comando chi era in odore di comunismo… Tuttavia dopo la legge n.103 nacquero esperienze coraggiose come ad esempio quello del gruppo “Cronaca”. Ed ovviamente le esperienze belle e prefiguranti della seconda rete di Massimo Fichera nonché del TG2 di Andrea Barbato. Fino a che il fattore K si sciolse (1991) e si appalesò la TV cult di Curzi e Guglielmi. “Ma ora questo finisce e, stando alle anticipazioni di un quotidiano, il governo diventa il dominus, scegliendo il capo azienda che si chiama amministratore delegato. Se questo non è un passo indietro vorrei sapere da qualcuno che se la sente che cosa significa. Il parlamento non può dire più nulla e tanto meno diranno qualcosa i mezzi di comunicazione di massa che fanno dell’Italia il 74mo paese del pianeta dal punto di vista della libertà di informazione.
C’è di che essere davvero preoccupati, anche senza pensare più per un momento all’Italicum e alle altre novità spiacevoli per la nostra democrazia repubblicana che stanno maturando a grandi passi. C’è da chiedersi davvero se il governo Renzi aspira a cambiare l’Italia ma in quale direzione e con quali obbiettivi. La risposta, alla luce di quel che sta accadendo, non può tranquillizzare molti italiani, tra i quali – e mi dispiace – anche chi scrive.